Chapter twenty two

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La voglia di arrivare a giovedì mi stava divorando e i giorni sembravano non passare più. Un'ora, mezz'ora, dieci minuti, un minuto: tutto questo tempo sembrò andare a rallentatore come se un cameraman avesse utilizzato la tecnica Moviola sulla mia vita. Volevo che quel giorno arrivasse in fretta perché la mia voglia di vedere Filippo stava cominciando a farsi imponente. Avevo voglia di abbracciarlo, ridere e scherzare con lui, ma dal vivo, non da una scatoletta elettronica capace di inviare messaggi fra persone che si trovano a distanza. La confusione che si era impossessata di me non era ancora stata chiarita. Amico o qualcosa di più? Bella domanda. Non ero ancora riuscita a dare una risposta che mi avesse potuto aiutare ad uscire dalla brutta situazione in cui mi stavo cacciando. Dentro di me il desiderio di avere un amico come Filippo stava prendendo il volo, tuttavia, ciò che mi teneva ancorata a terra come se fossi stata legata da una catena, era quella piccola, minuscola pulsione che mi spingeva a volere altro da lui. Ma com'è possibile volere amore da chi conosci da così poco tempo? Non riuscivo proprio a trovare risposta a quel quesito. Non era possibile innamorarsi di chi non conoscevi, tanto meno di chi era impossibile che, in futuro, avrebbe ricambiato gli stessi sentimenti nascenti da un cuore giovane il cui unico desiderio era quello di trovare una persona che fosse in grado di amarlo e proteggerlo come nessun altro sarebbe mai riuscito.

"Vedi come va, basta pensieri contorti. Se dovrà diventare qualcosa di più, lo diventerà. Per ora goditi questi bei momenti e la sua amicizia" mi imposi proprio nel bel mezzo di una partita di pallavolo disputata in palestra con i miei compagni di classe. Vincemmo e ne fui davvero felice, soddisfatta delle azioni che avevo tirato fuori dal cilindro del mago come bianche colombe. Per tutta la durata dei set ebbi in mente la partita della precedente domenica, anche se quelli erano altri livelli.

"Mia! Andiamo da Alfri oggi pomeriggio? Sono quasi due settimane che non ci facciamo vedere, si staranno preoccupando" Amanda e Ylenia ridacchiarono. "Ehi! Come state? Pensavo foste scappate dall'Italia, non vi si vedeva più in giro" affermai abbracciandole "Purtroppo oggi non riesco. Ho alcuni impegni che mi terranno occupata fino a sera" le due ragazze ci rimasero male. "Come? Ci abbandoni così? Però sabato ti vogliamo tutta per noi. Andiamo a ballare?" chiese Amy in fibrillazione "Ovviamente" risposi io sorridendo. "Per il luogo, l'ora e il resto ci mettiamo d'accordo domani sera?" domandò Yle "Okay, nessun problema" dicemmo in coro io e l'altra ragazza.

Radio accesa, musica ad alto volume e lista della spesa sul sedile destro della mia auto. Mi avviai verso il supermercato che, come ogni cosa, distava poco da casa mia. Una folata di vento caldo proveniente dall'alto mi scompigliò i capelli non appena varcai le porte scorrevoli appoggiata al carrello della spesa. Mi piaceva tanto girovagare per le corsie scrutando ogni prodotto posto ordinatamente sulle scansie, soprattutto quando avevo un ritaglio di tempo solo per me. "Uova, latte, panna per dolci, cioccolato fondente, una baccello di vaniglia" dissi fra me e me ripassando gli ingredienti a mente, nonostante tenessi il foglietto ben stretto fra le mie fredde dita. Quando passai dal reparto ortofrutticolo presi una vaschetta di fragole e alcuni lamponi e mi diressi alla cassa. Nei dispenser posti lì vicino vidi una piccola tavoletta di cioccolato bianco che mi sarebbe stata utile per un'ulteriore decorazione, perciò poggiai anche quella sul nastro e pagai il tutto.

Si sa: un dolce, se preparato con un giorno di anticipo, è più buono. Rincasai con in mano una pesante sporta ricolma di ogni ben di Dio. Arrivata in cucina l'aprii e sparsi il suo contenuto sul tavolo. Misi la frutta in frigorifero, mentre trasferii il resto sul piano di lavoro per pesare ogni ingrediente. Partii chiaramente dalla preparazione della crema. Sminuzzai un po' di cioccolato fondente e lo misi da parte, incisi il baccello di vaniglia per estrarne i semi che poi inserii all'interno del latte e della panna i quali misi a bollire sul piano di cottura. In una ciotola a parte versai i tuorli, lo zucchero e l'amido di mais anteriormente setacciato e mescolai il composto con una frusta. Non appena il pentolino sul fuoco sfiorò il bollore, vi versai all'interno anche la crema. Feci addensare il tutto a fuoco dolce, dopodiché aggiunsi il cioccolato facendo mutare il colore da giallo a marrone scuro e, trasferendo la crema in un'altra ciotola, la feci raffreddare a temperatura ambiente per poi metterla in frigorifero per farla raddensare. In seguito, mi dedicai alla preparazione della pasta biscotto che, non appena fu pronta, misi a cuocere a forno statico per sei minuti. A quel punto l'unica cosa mancante era la glassa di cioccolato fondente con la quale avrei ricoperto la torta che assemblai ponendo fra gli strati di pasta la crema diplomatica. Rivestii il dolce con il manto lucido di cioccolato scuro e, tenendone un po' per la decorazione, ne spalmai una lastra su un foglio di plastica che misi a raffreddare e che tagliai poi in rombi con un coppa-pasta. Attaccai le sottili piastrelle attorno al bordo della torta e, sciogliendo il cioccolato bianco, creai delle stecche, dalla forma simile a quella di una cannuccia, che non appena si raffreddarono posi incrociate sulla superficie su cui avrei posto anche altre decorazioni. Infine, fu la volta dei lamponi e delle fragole le quali furono tagliate a ventaglio e inserite di lato a concludere la composizione. Impiegai tanto tempo per le varie preparazioni, ma il risultato mi rese davvero orgogliosa. Il dolce aveva un aspetto degno di una pasticceria. Lo riposi in frigorifero con cura e mi diedi alla pulizia di tutto ciò che avevo sporcato, ma non feci in tempo a rimettere ogni cosa al proprio posto che i miei genitori entrarono dalla porta d'ingresso. Anche questa giornata era finita per loro. "Mia in cucina!" esclamò papà "Cos'hai preparato?" chiese curiosamente "Purtroppo nulla per noi" dissi sospirando e appoggiando una mano al bancone che avevo davanti e l'altra sul mio fianco. Papà ne rimase deluso. "Fammi almeno dare un'occhiata" disse avvicinandosi furtivo alla cucina e guardandosi attorno per vedere se l'elemento che stava scatenando la sua curiosità si trovasse nei dintorni. "Frigo" dissi senza nemmeno voltarmi per guardarlo, dato che si trovava già dietro la sottoscritta. Sentii il rumore delle bottiglie di vetro che si erano mosse nell'aprire lo sportello del refrigeratore e, dopo alcuni secondi di silenzio, fui costretta a girare su me stessa per capire cosa stesse succedendo. Papà si voltò lentamente cercando il mio sguardo. "L'hai fatta tu?" mi chiese incredulo inarcando le sopracciglia e aggrottando la fronte. Sospirai di sollievo, per un momento avevo temuto che fosse successo qualcosa. "Sì, l'ho finita poco fa" gli risposi felice "Amore, questa la devi vedere" disse l'uomo in direzione di mia mamma che stava ancora cercando di liberarsi dal giubbotto che aveva indosso. La cucina si affollò e i complimenti da entrambi non si fecero mancare. Tutto questo mi lusingò tanto, la mia gioia salì alle stelle e mi venne da pensare a Filippo. Sperai con tutto il mio cuore che il gusto promettesse bene quanto l'aspetto. "Ah, Filippo..." disse la mia vocina interiore quasi sognante.

Mille volte ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora