Chapter twenty

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Nel frattempo mi arrivarono tre messaggi e i miei genitori rincasarono. “Una botta di vita, che ne dici?” chiesi a mamma quando venne a darmi un bacio “Sì! E' proprio bello” affermò lei più pimpante del solito. “Com'è andata oggi?” le domandai “Bene! Abbiamo concluso l'affare con la biblioteca comunale, finalmente. Non ho mai dovuto affrontare un lavoro più stancante di questo. Il comune ci ha creato un sacco di problemi, ma siamo riusciti ad accordarci con l'impresa che inizierà i lavori, perciò i nostri progetti sono stati approvati e da mercoledì si aprirà il cantiere” rispose tutto d'un fiato. “Esatto!” esclamò papà arrivando dalla stessa direzione della donna. “Quindi stasera si festeggia?” proposi volgendo loro un sorriso complice “Non ho le forze per festeggiare” rispose mamma con un filo di voce “Ma io voglio festeggiare” protestò papà “Esatto, anch'io” mi aggregai. “Tu vuoi sempre festeggiare!” dissero in tono accusatorio i miei genitori voltandosi contemporaneamente verso di me. “Ehi, non è vero” dissi “E' presto e io mi sono già fatta la doccia, che ne dite di andare a cena fuori tutti e tre? Io penso al dolce” proposi. Papà guardò mamma con lo stesso sguardo con cui guardò me quando dovetti andargli a prendere il giornale due domeniche prima, inutile dire che un'ora e mezza dopo ci trovammo in macchina alla volta del ristorante Venice distante da casa circa una decina di minuti. Nel tempo in cui i miei genitori si prepararono, pensai alla preparazione di un dolce che fosse buono, ma veloce sia da preparare che da cuocere. Tortini al cioccolato con cuore caldo, cos'altro altrimenti? Quel giorno non mi concessi solo la cioccolata in tazza, ma anche una sontuosa cena con dessert annesso. Arrivammo al ristorante e un cameriere ci fece strada fino al nostro tavolo. Mi concessi solo un piatto di spaghetti allo scoglio, mentre mamma e papà ordinarono anche un piatto di crostacei alla Catalana e un rombo al forno con patate e verdure. Stavamo aspettando i nostri piatti ed eravamo nel bel mezzo di una discussione riguardante la dubbia qualità dei programmi televisivi del momento, quando mi voltai verso sinistra per controllare il cellulare che avevo lasciato nella borsa. Per qualche motivo ignoto, quando la rimisi al suo posto, alzai lo sguardo che percorse la strada fra i tavoli fino alla porta di entrata del ristorante. In quell'istante mi si gelò il sangue. In quale sorta di sarcastico gioco mi stava coinvolgendo la Vita? La città era enorme, i ristoranti migliaia, le situazioni possibili, probabilmente, milioni. Ebbene, vidi Filippo in piedi e voltato di spalle intento a chiacchierare con due ragazzi accompagnati da altre due ragazze. Sgranai gli occhi e mi venne da tossire. Mi voltai velocemente verso i miei genitori puntellando il gomito sinistro sul tavolo e appoggiando lievemente il capo alla mano tentando di nascondermi. Ripresi il discorso con mamma e papà che, nel frattempo e per fortuna, non avevano visto nulla. Feci finta di ascoltarli iniziando a pensare a ogni genere di tattica per riuscire a scappare da quel luogo. Nulla, non mi venne in mente nulla. Panico. Buio totale. Perché tutte a me?

Sarebbe stato impossibile ogni tentativo, tanto più che stavamo già aspettando le ordinazioni. Decisi di appellarmi comunque a qualunque essere superiore che fosse stato disponibile per un miracolo immediato. “Fai che si segga di spalle. Fai che si segga di spalle, per favore. Fai che si segga di spalle e non mi veda. Te ne prego” iniziai a recitare nella mia mente. Sentii il chiacchiericcio avanzare con un leggero rumore di passi e di ticchettii dovuti ai tacchi delle ragazze. Li vidi sfilare davanti a me ancora impegnati a chiacchierare fra loro accompagnati dallo stesso cameriere che ci aveva condotti al nostro tavolo.

Come al solito: se la fortuna dovrà essere dalla vostra parte per una sola volta nella vostra vita, fidatevi, non ci sarà.

Filippo si sedette proprio volto verso di noi, verso di me. Approfittai della posizione di mio padre per spostarmi leggermente e far sovrapporre la figura del ragazzo alla la sua. Cercai ogni escamotage per far sì che non mi vedesse. La cena filò liscia poiché riuscii a mantenere il nascondiglio, ma il pericolo si fece largo quando, dopo aver pagato il conto al tavolo, ci dovemmo alzare. Per primo si alzò mio padre, per seconda mia madre e per terza, controvoglia, io. Cercai di sbrigarmi nel mettermi cappotto e sciarpa, ma non lo fui abbastanza perché mia mamma e mio padre si spostarono tanto da scoprirmi. Il mio sguardo, ovviamente, finì su Filippo e, prima che potessi distoglierlo, pochissimi millesimi di secondo più tardi, i nostri sguardi si incrociarono. “Maledizione!” urlai dentro di me cercando di mantenere una compostezza esteriore. Non appena mi vide, gli si illuminarono gli occhi e il suo sorriso, capace di far svenire centinaia di migliaia di ragazze, si fece largo sul suo volto. Non fu una costrizione ricambiarlo, perché il mio subconscio fece tutto per me. Quel ragazzo era l'unico capace di rubarmi sorrisi così spontanei e belli. Alcuni secondi dopo mi voltai verso i miei genitori che si erano fermati a fissarmi e si stavano voltando verso di lui. “Arrivo subito, scusatemi” dissi loro abbottonandomi il cappotto e ponendo una mano sul braccio a mia mamma per crearmi un varco fra il tavolo e loro e andare a salutarlo. “Andate pure in auto, non ci metterò molto” aggiunsi senza permettere loro di ribattere e mi allontanai. Filippo si alzò dal tavolo e venne a stringermi in uno dei suoi soliti abbracci da togliere il fiato. “Ehi!” mi disse dandomi due baci sulle guance. La sua barba incolta, così dannatamente sexy, mi aveva graffiata e, per qualche minuto, mi lasciò una strana sensazione sulla pelle. “Ehi!” ripetei io “Tutto bene?” mi chiese continuando a sorridermi con le labbra chiuse questa volta. “Tutto bene, tu?” domandai a mia volta. Sembrava che l'attenzione del gruppo con cui avrebbe cenato si fosse trasferita solo sulla scena che stava coinvolgendo noi due. Una volta conclusi i convenevoli, si voltò verso di loro e mi cinse la schiena con un braccio. “Ragazzi, lei è Mia, la ragazza degli scontri”. “La ragazza degli scontri?” lui aveva parlato di me con loro. A quel punto mi salì l'ansia. Mille domande iniziarono a vorticare nella mia testa. “Ciao!” esclamarono tutti “Mia, loro sono Edoardo, Luce, Tommaso e Viola” disse voltandosi verso di me per un attimo e facendo tornare i suoi occhi su di loro puntando il dito su ogni persona a ogni nome. “Ciao a tutti, piacere” dissi un po' intimidita dalla situazione e vidi comparire un sorriso su ogni viso che mi ritrovai a guardare. Edoardo, ragazzo leggermente più basso di Filippo, capelli corti di color biondo scuro, occhi azzurri. Luce – la sua ragazza -, alta, capelli fluenti dai riflessi ramati probabilmente tinti, occhi castani. Tommaso - l'altro ragazzo del gruppo –, alto quanto Edoardo, capelli di media lunghezza, neri e ricci, occhi castani, sul collo portava un succhiotto fatto ovviamente da Viola, la sua ragazza. Viola, di media statura, capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, occhi dalle sfumature chiare, quasi ambrate. Avevano tutti un'aria simpatica, cordiale e vivace allo stesso tempo, come quella di Filippo, che, chiaramente, nessuno sarebbe mai riuscito a imitare. “Com'è la cucina?” chiesi io per distruggere il velo di ghiaccio che stava iniziando a formarsi come a ogni prima conversazione. “Ottima!” “Buona” “Eccezionale!” “Molto buona” affermarono tutti facendo sovrapporre ogni voce, il che mi fece sorridere. “Bene, allora vi lascio terminare, prima che si raffreddino i piatti. Buon proseguimento” dissi rivolgendomi al tavolo. “Come? Te ne vai di già?” mi chiese Filippo con un tono di delusione “Sì, i miei genitori mi stanno aspettando e, poi, ripeto, non voglio che per colpa mia dobbiate mangiare dei piatti freddi” gli risposi scostandomi dalla sua presa che era rimasta tale da quando avevo raggiunto il tavolo. “Magari ci sentiamo per giovedì pomeriggio, okay?” gli chiesi “Certo!” replicò infine. Appoggiai una mano sulla sua spalla e mi misi in punta di piedi per avvicinarmi al suo viso e dargli un bacio sulla guancia. Notai la stessa mossa del braccio che mi avvinghiò poco prima, ma, questa volta, dopo l'abbraccio, mi lasciò andare. Salutai di nuovo i suoi amici e mi avviai verso l'uscita del ristorante. Se questa era andata bene, allora ci sarebbe dovuto essere qualcos'altro all'agguato, ma cosa? Ah, già, i miei genitori.

Mille volte ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora