Chapter eighty four

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Quei minuti spesi da sola mi fecero riflettere. Dove si trovavano i miei genitori? Perché non erano lì al mio fianco? E chi era quel ragazzo dallo sguardo capace di entrarti dentro? Rimasi senza fiato al solo ricordo dei nostri occhi che si erano incrociati. "Amore mio"? Cosa? Mi domandai di nuovo agitata. Inspirai ed espirai profondamente, tanto che i miei polmoni mi fecero male. Il mio battito accelerò e lo percepii dal suono alterato dell'elettrocardiogramma.

Voltai la testa verso destra e verso sinistra per scrutare il luogo in cui mi trovavo. Quella camera candida dalle verdi tende chiuse era un classico ospedaliero. "Verde" pensai "Come la speranza?" mi chiesi cercandone un significato. Sul comodino alla mia sinistra trovai un vaso di vetro trasparente al cui interno vi era un mazzo di fiori bellissimo. Fra di essi non potei non notare i girasoli e le rose rosse, in assoluto i miei preferiti. Allungai un braccio per accarezzarne i delicati petali color limone e vermiglio. I miei occhi caddero poi su un libro: Les Misérables di Victor Hugo. La mia mano si abbassò fino ad afferrare il tomo sulla cui copertina era disegnata una bambina a piedi nudi immersi nell'acqua e, fra le braccia, una grande scopa. "Di chi è?" rimasi sorpresa pensando al ragazzo che, pochi secondi dopo, aprì un piccolo spiraglio della porta e, lentamente, entrò. Vidi il suo viso spuntare, era visibilmente preoccupato. Quando i nostri sguardi si incrociarono il mio cuore perse un battito, ma fui capace di sorridergli per rassicurarlo. Riappoggiai il libro sul comodino, mi sollevai con le braccia puntellandole sul materasso fino a raddrizzarmi un po' e mettermi a sedere, poi recuperai il foglio e la penna che avevo abbandonato sulle mie gambe non appena il medico se n'era andato dalla stanza.

Il ragazzo si avvicinò a me con fare impacciato e io me la sentii di sorridergli di nuovo. I suoi capelli scompigliati me lo fecero immaginare come un bambino appena sceso dal letto, mentre la striscia rossastra che gli attraversava la fronte, beh, quella mi fece ridere. Lui intercettò dove i miei occhi si andarono a posare e, immaginando a cosa mi stessi riferendo con la risata, sbuffò. "No, ancora?" chiese portandosi i polpastrelli di una mano sulla fronte per sentire se ci fosse un rilievo che dimostrasse che si era addormentato sopra a una sbarra. Presi velocemente il foglio e la penna fra le mani e, cercando di non bucare il primo, iniziai a scrivere velocemente delle parole. "Tranquillo, non si vede tanto" girai il foglio dalla sua parte in modo che riuscisse a leggere. Lui mi rispose con un sorriso sbilenco. "E' già la seconda volta che succede" confessò facendo spallucce. "Dovresti trovare una posizione più comoda di quella" suggerii io "Facile a dirsi" disse più sciolto mostrandomi un sorriso sincero, un sorriso bellissimo. Fece altri passi nella mia direzione, poi si portò un braccio dietro alla testa e, deluso, mi fece una domanda che mi sorprese. "Non ti ricordi chi sono, vero?" lo vidi mordersi il labbro inferiore nervosamente. Abbassai gli occhi amareggiata. "No, mi dispiace tanto" gli feci vedere la risposta, ma, subito dopo, ripresi il foglio per aggiungere un'altra parola alla mia frase: "Siediti". Lui fece come gli chiesi e, dispiaciuta per l'accaduto, mi sentii in dovere di cercare una strada per poter ricordare di nuovo. "Come ti chiami?" gli domandai "Filippo" mi guardò negli occhi. "E' un bel nome" commentai "Grazie" ridacchiò. "Li hai portati tu questi fiori?" "Sì, per te, ovviamente" "Sono bellissimi! Non avresti dovuto, grazie mille". Il mio battito cardiaco accelerò e lui se ne accorse dal mio respiro, motivo per il quale in viso diventai bordeaux. Filippo rise "Non devi vergognarti, è dolce la tua reazione" arricciai il naso e abbassai gli occhi sul mio foglio, pensierosa. "Posso chiederti una cosa?" glielo mostrai "Tutto quello che vuoi, sono qui per te". Quell'affermazione mi scaldò il cuore, l'avrei voluto abbracciare. "Stavamo insieme, vero?" gli domandai fuori dai denti, avevo bisogno di almeno una risposta a tutti quei quesiti che minacciarono di farmi esplodere la testa. Filippo si schiarì la voce e, dopo aver guardato i fiori per qualche secondo, si voltò un'altra volta verso di me e mi guardò. "Già". I miei battiti accelerarono ancora più di prima.

Io? Sul serio? Non per dire, ma...ero davvero la ragazza di un fico del genere?

"E per la cronaca eri, sei la mia migliore amica" si emozionò un po' tornando a parlare. In quell'istante mi salì un groppo in gola. Mi sentii tremendamente in colpa per non riuscire a ricordarmi nulla di lui, nulla di noi. La mia mano tremò per un secondo, poi la punta della penna nera si posò sulla carta bianca. "Aiutami a ricordare, ti prego" la mia richiesta d'aiuto mi fece scendere una lacrima lungo il viso. Filippo si alzò di scatto in piedi, ma successivamente si bloccò a pochi centimetri dalla sbarra. "Posso abbracciarti?" mi chiese per sicurezza e, non appena annuii, mi strinse a sé. Un'ondata di profumo mi abbracciò insieme a lui, un profumo che avrei voluto sentire per sempre, un profumo che, come il suo sguardo, mi smosse qualcosa nel profondo della mente. Sapevo che lui era lì, ne ero certa, solo, non riuscivo a ricordarmene e Dio solo sa quanto oro avrei pagato per poter recuperare ciò che avevo perso.

La sua stretta durò per minuti, minuti che avrei desiderato prolungare per ore, per giorni interi, poi, all'improvviso, la porta si spalancò e dietro di essa comparvero mia madre, mio padre, i miei nonni, Gingy, Yle e Davide. Dov'era finita Amy?

Mille volte ancoraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora