Nuova settimana, nuova tortura. Trovavo davvero un'ingiustizia che il sabato e la domenica fossero così vicini al lunedì, ma che il lunedì fosse così lontano da questi due. Ormai la scuola non aveva un ruolo interessante nella mia vita, dato che non succedeva nulla di divertente e si stava chinati sul banco per infinite ore ad ascoltare lezioni, farsi interrogare o recuperare le poche idee e confuse per i test scritti. Ovviamente i momenti più belli li passavo con le mie amiche con le quali era impossibile non divertirsi. Passai ogni minuto di ogni ora a cercare di immaginarmi come avrei spiegato la scena del giorno precedente fra me e Filippo a Gingy. “E' da stamattina che non dai pace a quell'elastico per capelli” mi fece notare lei bisbigliando durante gli ultimi minuti della lezione di italiano e, non appena me ne accorsi, lo riposi nell'astuccio in fretta e furia. “Non era per quello” commentò nuovamente vedendo la mia reazione a ciò che mi aveva detto. Il suono della campanella che decretava la fine della giornata scolastica rimbombò nelle mie orecchie e, non appena mi ripresi dopo essermi incantata sulla piccola orecchietta che avevo accidentalmente fatto alla copertina del libro di testo, iniziai a fare la cartella. “Allora? E' così grave la cosa che mi devi dire da averti tenuta impegnata per tutta la mattinata?” mi punzecchiò la mia amica dagli occhi curiosi. “Ehm...” borbottai io senza sapere cosa rispondere “Bene, ho capito. Però non appena arriviamo a casa mia devi vuotare il sacco. E' da ieri che mi arrovello e sappi che ne ho pensate di cose che ti sarebbero potute succedere”. Mi piegai lievemente per riuscire a prendere lo zaino da terra e i miei capelli scesero a cascata da entrambi i lati del viso. Quando mi risollevai, mi voltai a guardare Ginevra che aveva smesso di parlare da qualche secondo. “Ti racconterò e, fidati, non avresti mai potuto pensare a una cosa del genere” affermai “Ah!” esclamò lei “Metti anche il dito nella piaga, ora” disse accusandomi. “Il fatto non è di mettere il dito nella piaga, è che vorrei parlartene quando saremo sedute sul tuo letto, così sarò capace di raccontarti tutto senza essere distratta e senza avere il timore che qualcuno lo venga a sapere” replicai. Ginevra alzò gli occhi al cielo e sospirò “Okay...” rispose alla mia spiegazione con un tono un po' amareggiato. “In cosa ti posso essere utile oggi?” le chiesi riferendomi agli argomenti di storia che avrebbe dovuto studiare. “Ho tutto il Risorgimento da studiare” “Beh, faremo del nostro meglio” la rassicurai “Almeno anch'io sono stata interrogata su quell'argomento e per quel che ricordo non è complicatissimo. Dovrei riuscire ad aiutarti” conclusi mentre scendevamo dalle scale per dirigerci al portone che ci avrebbe fatte uscire dall'edificio. Non appena entrammo a casa di Ginevra un buonissimo odore pervase le mie narici tanto che non potei fare a meno di inspirare profondamente. Ogni abitazione ha un odore particolare e quella, che da un po' di mesi era stata riconosciuta come la mia seconda casa, ne aveva uno che mi faceva sentire proprio a casa mia. “Vieni” mi disse esortandomi a seguirla in camera sua dove appoggiammo gli zaini e ci mettemmo comode. Pochi minuti dopo sentimmo la porta aprirsi di nuovo: Eleonora, sua sorella. “Ciao!” disse ad alta voce per farsi sentire e, noi, sporgemmo la testa fuori dalla camera per ricambiare il saluto. La mamma di Ginevra aveva già preparato qualcosa da mangiare per noi prima di andare a lavorare perciò dovemmo scaldare solamente le pietanze e metterci a tavola. Nel frattempo avevo avuto l'occasione di fare alcune chiacchiere con la piccola Eleonora. Era dolce quanto la sorella, le uniche differenze per le quali si distinguevano le due erano la sua passione per le materie scientifiche e il colore dei capelli che per la sorella era moro, mentre per lei era castano chiaro. Non appena finimmo di pranzare ci ritirammo tutt'e tre: Eleonora in salotto e io e Ginevra in camera sua. “Finalmente! Raccontami tutto” disse liberando un sospiro di sollievo e buttandosi sul letto matrimoniale che occupava quasi la maggior parte dello spazio della stanza. “Allora...” cominciai io sedendomi vicino a lei e stendendo una gamba verso il centro del letto “Ieri mattina mio padre mi ha chiesto di andargli a prendere il giornale all'edicola in Piazza delle Erbe. Sono andata e, tornando indietro, distratta dall'articolo sul volley che ero intenta a leggere, sono andata a sbattere di nuovo contro a qualcuno. Quando ho alzato gli occhi indovina chi ho visto?” le chiesi con tono enfatico “Il ragazzo del famoso mercoledì?” chiese Ginevra in cerca di una conferma e spalancando gli occhi “Esatto. Ci siamo scontrati di nuovo! Lui stava andando a fare colazione e, per farsi perdonare per questi continui incontri poco piacevoli, me l'ha offerta. Morale della favola che ci siamo seduti, abbiamo iniziato a parlare e – non mi ricordo per quale motivo – abbiamo parlato anche di pallavolo. Sai cosa sono venuta a scoprire?”.
Continuai a raccontarle gli avvenimenti di quella strana mattinata e il tutto fu seguito da alcuni gridolini di gioia di Gingy. “E poi non è finita qui” dissi riprendendo il filo del discorso “Quando tu mi hai inviato il messaggio, mi sono resa conto dell'ora che si stava facendo e sicuramente mio padre si sarebbe fatto delle domande nel non vedermi tornare a casa entro un certo arco di tempo. Motivo per cui gli ho detto che dovevo andare e, lui, invece di lasciarmi così mi ha detto: “Ti lascio il mio numero di cellulare, in caso dovessi prendere parte a una partita al palazzetto. Mi farebbe piacere salutarti ma, soprattutto, non vorrei scontrarmi di nuovo con te così violentemente e casualmente.” testuali parole, giuro” dissi aumentando la velocità con cui le raccontai tutto. “Non ci posso credere” rispose la mia amica eccitata e incredula. “A chi lo dici” dissi sospirando io questa volta. “Ti rendi conto che il furbo vuol far fare tutto a me?” le chiesi sorridendo maliziosamente “Mamma mia. Questa te la devi giocare bene!” “Lo so, però devo essere sincera: me lo sono immaginato come amico e non sarebbe per niente male. Almeno, per quel poco che sono riuscita a conoscerlo. Magari una volta amici...il fatto è che non voglio correre. A me piace, cavolo se mi piace! Però questo riguarda l'aspetto fisico, non lo conosco abbastanza per dire che è l'uomo della mia vita. Tanto più non credo di essere ancora pronta a un'affermazione del genere” dissi tutto d'un fiato. Ginevra mi diede ragione, anche se stando nei miei panni lei avrebbe agito diversamente. “Ho intenzione di scrivergli e di andare a una partita al palazzetto prima o poi. Di sicuro lo farò aspettare, dato che mi ha lasciato tutto il lavoro da fare” affermai. “Non vedo l'ora di sapere cosa succederà!” esclamò quasi urlando. “Quindi quando gli scriverai?” chiese facendo muovere il letto salterellandoci sopra “Forse fra una settimana e mezzo. Due settimane sono troppe e una è troppo poca, perciò penso che la via di mezzo sia la scelta migliore” ipotizzai. Terminato l'argomento, ma ancora eccitate per tutto ciò che era accaduto e che avevo raccontato, passammo al deprimente Rinascimento, o, meglio, alla deprimente storia.
“...e il fallimento delle piccole attività artigianali, che non avrebbero potuto reggere la concorrenza con la produzione industriale del Nord, fu dovuto dall'abolizione delle dogane fra i vari stati”. A quest'ultima frase scoppiò un applauso da parte mia. Ginevra si alzò in piedi e fece alcuni inchini verso una platea inesistente. Dopo tre ore e mezza di massacro psicologico ce l'aveva fatta, anzi, ce l'avevamo fatta. “Finalmente!” esclamai buttandomi a terra in ginocchio e stendendo le braccia come in alcune posizioni dello yoga. La mia amica mi risollevò e mi abbraccio forte “Grazie! Grazie, grazie, grazie, grazie! Sono in debito ora” disse salterellandomi intorno come se fossi diventata di pietra “Ma quale debito e debito? Te l'avevo promesso e ce l'abbiamo fatta, hai visto? Ora però mi devi promettere che la ripasserai per giovedì perché, altrimenti, se l'interrogazione non andrà bene io non ti parlerò più” affermai stremata e con un'immensa voglia di tornare a casa. Mi trattenei ancora per poco, poi riuscii a scappare dalle sue grinfie. Volevo un bene immenso a quella ragazza, ma, a volte, era in grado di distruggermi sia fisicamente che psicologicamente come pochi sapevano fare. Non contenta, appena arrivai in camera mia, dovetti mettermi a studiare a mia volta. Sembrava proprio che quella giornata non volesse finire, i minuti sembrarono durare ore intere. Quando i miei genitori rincasarono, mollai tutti i libri che avevo aperto e decisi di metterli al proprio posto, dato che non possedevo più alcuna energia in corpo. Dalla stanchezza non mi venne nemmeno appetito, perciò mangiucchiai qualcosa per non svenire non appena mi sarei svegliata il giorno dopo e, come i bimbi, mi coricai presto. Il sonno si impossessò di me non appena posai il cellulare sul comodino, dopo aver impostato la solita snervante sveglia.
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Mille volte ancora
RomanceMia, una diciannovenne alle prese con una vita da liceale che verrà stravolta dopo un incontro/scontro. Vi racconterà la sua storia, o, almeno, tutto ciò che è accaduto da un anno e otto mesi a questa parte. Se ne avete voglia, preparatevi un the e...