La cavia (Capitolo 49)

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Il mattino seguente

Due guardie entrarono nella cella. Una di esse s'inginocchiò e prese il contenitore del sangue di Mida. Dopodiché uscirono e chiusero a chiave. Dopo aver fatto colazione in una mensa ampia, controllata da decine di guardie, i prigionieri tornarono nelle loro celle. Dopo una decina di minuti, delle guardie aprirono quella di Mida e gli tolsero le catene attaccate al muro.

"Dove mi state portando?" domandò il ragazzo con un filo di voce, mentre veniva messo in piedi e le sue caviglie incatenate l'una all'altra. "Visite mediche" rispose una delle guardie con tono freddo. Una volta usciti dalla cella, chiusero la porta a chiave. Mida venne condotto tra i corridoi del penitenziario, fino ad arrivare ad una porta. Le guardie lo fecero entrare: era una stanza bianca con uno specchio grande come una parete. Il suo braccio e le sue gambe vennero legate con dei cinturini in cuoio ad un pannello metallico verticale. Successivamente, le guardie uscirono dalla stanza.

Dal soffitto uscì un braccio meccanico che, dopo essersi avvicinato al ragazzo, lo investì con una potente scarica elettrica. Mida lanciò un urlo di agonia ed iniziò a dimenarsi. I cinturini, ben fissati, gl'impedivano di muoversi ed il dolore diventava sempre più atroce. Dietro allo specchio, un gruppo di scienziati stava osservando la loro cavia. "Sta resistendo ad una scarica di 400 Volt! È otto volte una scarica mortale per un normale essere umano" commentò uno di loro, controllando un pannello con dei dati.

Una volta terminato l'esperimento, Mida piegò la testa verso il basso. Dal suo volto gocciolava sudore ed il suo corpo aveva vari segni rossi dovuti alla corrente elettrica. Tossì delle goccioline di sangue, che macchiarono il pavimento bianco. Le guardie lo liberarono dal pannello e lo riportarono nella sua cella.

Un paio d'ore dopo

"Midinho, svegliati" disse Carlos, scuotendolo delicatamente: "Sembra tu abbia visite". Il ragazzo aprì leggermente gli occhi ed alzò lentamente lo sguardo. Mise a fuoco la vista e vide una ragazza bionda insieme a due guardie. Quest'ultime aprirono la porta della cella, facendola entrare. "Tranquilli, potete pure andare" disse la ragazza. Le guardie se ne andarono via, lasciandoli soli.

"Per favore, potresti lasciarci soli anche tu?" domandò la ragazza guardando Carlos. "Eh? Ah, certamente! Andiamocene, Miguel" disse il brasiliano, facendo dei cerchi con i palmi della mano mentre si nascondeva nell'ombra. "Chi sei tu?" chiese con voce esile Mida. "Non ti ricordi di me?" ridacchiò la ragazza. Sembrava avesse poco meno di una trentina d'anni e aveva delle forme accentuate. Indossava una felpa pesante grigia e dei leggings neri, dato che il giaccone lo aveva lasciato all'entrata del carcere.

"Ci siamo visti quando hai sfidato tutti quei Guardiani in Italia" continuò, accucciandosi verso il ragazzo: "Mi chiamo Diana, sono la Guardiana di Kiev". "Questa dev'essere un pezzo grosso" bisbigliò Carlos a Miguel, senza farsi sentire. "Tu dovresti essere Mida, giusto?" domandò Diana, accarezzando leggermente il volto del ragazzo: "Oh, guarda come sei ridotto! Cosa ti hanno fatto?". Con un fazzoletto iniziò a pulirgli il sangue incrostato.

"Sappi che credo nella tua innocenza riguardo al disastro di Reggio" bisbigliò la bionda all'orecchio di Mida, facendogli l'occhiolino: "Troverò un modo per farti uscire da qui, tranquillo". "Mi dispiace, ma ho deciso che morirò qui. Fuori da queste mura non ho nient'altro per cui vivere" rispose il ragazzo, con tono calmo. "Come vuoi" disse Diana: "Proverò a passare una volta a settimana. Spero tu resista". Dopodiché, le guardie la fecero uscire dalla cella.

"Tsk! Ma chi si crede di essere quella?" borbottò Mida, che scivolò con la schiena a terra. "Midinho, hai fatto colpo su un'altra ragazza. Complimenti!" esclamò con tono fiero Carlos, lanciando coriandoli per tutta la cella. "Tu dovevi farti gli affari tuoi!" lo rimproverò il ragazzo, con le guance leggermente arrossate.

Nei giorni seguenti, gli esperimenti continuarono. Mida veniva esposto a condizioni estreme: pezzi di ferro bollenti gli venivano appoggiati addosso e successivamente congelati. Il ragazzo, ogni volta, svuotava i propri polmoni per urlare dal dolore, che sembrava non finire mai. Una volta venne messo a contatto con l'uranio puro e vomitò in continuazione per un paio di giorni.

Ogni settimana, Diana gli faceva visita per medicare le sue ferite e controllare come stesse. Mentre gli scienziati continuavano ad esaminare il suo sangue, Mida desiderava sempre più ardentemente farla finita, per metter fine alle proprie sofferenze.


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Riuscirà Mida a resistere a queste condizioni? Troverà il modo per farcela? Perché Diana è interessata al fatto che stia bene?

Nel prossimo capitolo: "Un posto troppo affollato"

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