Tutto si fa buio, all'improvviso. L'acqua attorno a lui sparisce di colpo e una forza dirompente lo colpisce nel petto facendolo sbalzare via. Crolla, tocca terra con un tonfo sordo e chiude gli occhi, abbagliato da una luce fortissime. Il pavimento sotto di lui non è poi così freddo, è stranamente tiepido, per qualche assurda ragione. Tasta con la mano, ancora incapace di aprire gli occhi per vedere qualcosa, è liscio, gli ricorda le piastrelle che aveva in camera sua prima che i suoi genitori ristrutturassero la casa. C'è un silenzio di tomba attorno a lui, non vola una mosca. All'improvviso si convince ad alzarsi da li e a provare ad aprire gli occhi, piano. Man mano che le palpebre si alzano la luce diventa sempre meno forte, fino a ridursi ad un debole lume di candela quasi. Si guarda intorno: non c'è assolutamente nulla, solo un immenso piazzale di piastrelle color crema. Non ci sono muri, non c'è vegetazione. In una parola: il nulla. Luigi è confuso, sopratutto perchè gli abiti che indossa non sono bagnati ma perfettamente asciutti. "Dove sono?" Pensa sforzandosi di trovare qualcosa attorno a lui che gli possa dare un indizio. Prende a camminare, un passo alla volte e lo scenario davanti a lui non cambia mai, c'è sempre e solo il nulla. Passa il tempo, quanto non ne ha una vaga idea, sa solo che i piedi cominciano a fargli male. All'improvviso alle sue spalle sente un rumore sordo, come qualcosa che cade e rotola sul pavimento: si volta di scatto e vede un bambino seduto per terra intento a giocare con una palla rossa ed un camion dei pompieri. Ride di gusto osservando la palla rimbalzare sul pavimento per poi riprenderla al volo. Ad occhio e croce deve avere circa sei anni, ma non ci giurerebbe. Luigi si avvicina, con calma, avendo cura di non spaventarlo.
«Ciao» lo saluta con un sorriso.
Il bambino dai capelli corvini lo guarda dritto negli occhi e piega la testa di lato, confuso. «Chi sei?» chiede stringendo forte la pallina nella mano destra.
«Mi chiamo Luigi, molto piacere».
«Anche io mi chiamo cosi» risponde il piccolo facendo spallucce e tornando a concentrarsi sui suoi giochi.
«È un bel nome».
«Si, ma a me non piace molto perché mi chiamano tutti Gigino e sembra che io sia piccolino ma io non sono piccolino» borbotta il bambino facendo una smorfia. Il Luigi grande sorride e si siede a gambe incrociate davanti a lui.
«Posso giocare con te?» chiede dolcemente.
Il bimbo annuisce e gli avvicina il camion dei pompieri.
«È bello» mormora facendolo muovere sul pavimento liscio.
«Me lo ha regalato il mio papà».
«Che bravo papà».
«Si, è vero».
Il bambino lancia la palla a terra, questa rotola poco più avanti quindi si sporge per riprenderla. «Mi stava scappando» borbotta rigirandola tra le mani poi si rivolge al Luigi grande: «Tu quanti anni hai?».
Colto di sorpresa, si stupisce di non sapere la risposta. «Credo... non mi ricordo sai».
Il bambino fa finta di niente, continua a giocare. «Cosa vuoi fare da grande?».
Confuso, il Luigi grande scuote la testa e devia la domanda con un: «Dovrei chiederlo io a te».
«Il pompiere oppure il cantante. Sono bravo a cantare sai? Ho persino una chitarra».
«Wow, che bravo che sei» lo elogia, sorridendo del suo tono fiero.
«Se non farò il cantante farò il vigile del fuoco».
«Che bello».
«Tu sai cantare?».
«Penso di si» biascica senza essere però certo della sua risposta.
«Prova».
«No, mi vergogno. Canta tu che sei più bravo di me sicuramente».
Il bambino alza la testa e lo guarda storto: «Sei un fifone» sbotta.
Luigi ride e non puoi che dargli ragione.
«Che lavoro fanno i tuoi genitori?» gli chiede curioso, cambiando argomento. Il bambino gli porta via il camion dalle mani, tirandolo a se. «Non sai giocarci più» borbotta prima di rispondere alla sua domanda: «Dovresti già sapere la risposta».
«No... perché?» chiede confuso scuotendo la testa. Il bambino lo scruta con quei due occhi scuri indagatori.
«Te la ricordi Carola, Luigi?».
«Chi è Carola?» chiede.
Il bambino scuote la testa indispettito: «Ma come fai a non ricordartela!»
«Non me la ricordo, mi dispiace» mormora triste, mentre il bambino mette il broncio.
«Non puoi scordatela» biascica.
«Dimmi tu chi è» sorride il Luigi grande.
«No».
«Neanche un indizio?».
«Te la devi ricordare!» sbotta spazientito alzandosi da terra e stringendo forte nella piccola mano la pallina rossa.
«Mi dispiace, non arrabbiati...».
«Perché non te lo ricordi?! Non ti ricordi niente!» urla, istericamente, calciando il pavimento con i piccoli piedini.
«Scusami...» inizia ma il bambino non lo fa finire.
«Ricordati!» urla tirandogli la pallina dritta in faccia. Luigi chiude gli occhi per il dolore e quando li riapre il bambino è sparito e lui si trova in quello che sembra uno studio di registrazione, di ultima generazione tra l'altro. Si guarda intorno: c'è il microfono e c'è anche una chitarra nera appoggiata al muro. Non gli è chiaro, forse è un luogo a lui noto ma non è sicuro. Si avvicina, prende la chitarra e fa passare le dita sulle corde, emettendo un suono a lui famigliare. Alza lo sguardo, si vede riflesso sul vetro dello studio: ha la barba, i capelli lunghi ed indossa una camicia nera. Improvvisamente il suo riflesso prende dalla tasca un paio di occhiali da sole bianchi con una forma inconsueta e li indossa eppure Luigi è rimasto fermo. Allunga la mano verso il vetro mentre la sua versione riflessa alza le braccia al cielo come per incitare la folla. Confuso il Luigi in carne ed ossa chiude gli occhi e quando li riapre nel vetro non c'è più nulla. La testa gli sta scoppiando, è tutto così surreale. Si volta, all'improvviso sui vetri alle pareti appaiono delle immagini sfocate: c'è lui in uno studio televisivo, lui insieme ad una ragazza castana che ridono stesi su un divano giallo, lui che con in mano un microfono fa un occhiolino alla telecamera. "Ma coma sta succedendo?" pensa più confuso che mai.
«Tienimi stanotte!»
«Non mi guardare...».
«Io personalmente non lo so».
«Carola!».
«Però ti piace fregarmi...».
«Se per caso tu sparissi...».
«Fai la brava».
È un vortice di emozioni quelle che sente, le immagini scorrono sui vetri mentre nella stanza risuonano voci lontane di episodi a lui famigliari ma che non ricorda. Le tempie gli pulsano, vuole che tutto questo cessi il prima possibile. «Basta!» urla prendendosi la testa tra le mani esasperato. Grida Luigi, per sovrastare i rumori attorno a lui e chiude gli occhi pregando che tutto svanisca. Dopo un tempo indefinito il silenzio piomba nella stanza, e le luci si abbassano. Alza la testa, c'è solo la chitarra nella stanza, è tutto svanito. Per qualche strana ragione sente che quello strano oggetto significa qualcosa per lui. E piccola, troppo piccola per una persona adulta però. La prende tra le mani.
«Scegline una Luigi».
«Posso davvero?» chiede lui con un sorriso enorme, totalmente incredulo che suo padre gli stia facendo questo grande regalo.
«Certo. Non prenderla troppo grande però, sennò non riuscirai a suonarla» ride mettendogli una mano sulla testa.
«Non sono piccolo» borbotta con la sua voce infantile.
Suo padre scuote la testa, scompigliandoli i cappelli e gli indica una chitarra nera. «Che ne dici di quella?».
Luigi fa passare le dita sulla corde tese, è tutto così famigliare e allo stesso tempo così magico.
«Na na na na» canticchia piano mentre prende sempre più coraggio e lasciandosi trasportare dall'istinto comincia a suonare. «Se per caso tu sparissi, se un giorno non tornassi, sarei lì che ti aspetterei fino all'ultimo respiro, perché è con te che io mi sento vivo, vivo, vivo». La musica gli entra nella pelle, fino dentro le ossa e nelle viscere, è come un calmante: lenisce le sue ansie. Nella sua testa scorrono immagini di ricordi, baci, carezze, pianti, risate, urla, canzoni, note... tutto gira vorticosamente, la stanza si fa sempre più piccola, le gambe cominciano a cedergli, la chitarra tra le sue braccia si fa sempre più pesante, non riesce a reggerla. Crolla a terra, e tutto diventa nero.
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IL MIO SBAGLIO SULLE OSSA
FanficE se tutto non fosse così complicato come sembra? "Con fare deciso entra in stanza lasciandolo sull'uscio. «Che fai, hai intenzione di restartene lì a fissarmi allungo?». «Perché, cos'altro vorresti che facessi?» ammicca serio chiudendo la porta ma...