Uomini di scienza. Donne di spettacolo

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Lucas si svegliò abbastanza presto, e decisi di mettere in atto il piano disperato di ogni madre, quello riservato alle situazioni più delicate, il piano che tutte rinnegano in pubblico ma la cui esistenza genera conforto nei nostri cuori, il piano segreto che sussurriamo alle orecchie delle mammedimerda più abbattute e scoraggiate ribadendo loro che ciò che accade tra le mammedimerda deve restare tra le mammedimerda, l'ultimo baluardo delle giornate peggiori, la luce che illumina il tunnel a volte infinitamente lungo e buio del genitore stressato: gli feci guardare un film intero alle 7.30 del mattino. Fino a quel momento Lucas era stato così provato fisicamente da non essere nemmeno in grado di apprezzare la TV, vivendo in uno stato di predominante dormiveglia. Nelle mezz'ore di veglia gli leggevamo qualche libro. Ma quella mattina rispose subito di sì all'offerta di vedere qualcosa sul tablet.

Scelsi un film divertente, e rividi mio figlio ridere e sorridere. In quel momento compresi che la strada della guarigione era stata correttamente imboccata e che Mancini aveva davvero salvato mio figlio. Sospirai, accogliendo con calore l'ennesima e confortante prova che il piano disperato delle mammedimerda, se correttamente somministrato, non può fallire.

***

Il primario passò intorno alle 10. Lucas fu collaborativo, il medico sembrò soddisfatto.

-Ho fame - lo informò mio figlio.

Mancini sorrise apertamente. Credo sorridesse al suo mentale scioglimento della prognosi, e non davvero a Lucas. Ma forse mi sbaglio.

-Devi avere ancora un po' di pazienza. Tra un po' potrai mangiare, ma oggi è ancora presto. -

Poi si rivolse a me.

-E lei, mamma di Lucas, che mi dice? -. E quella domanda fu rivelatrice: non conosceva il mio nome. E d'altra parte in reparto c'erano 14 posti letto. Potenzialmente 28 genitori. Decisamente troppi nomi, poco utili. Essere identificata nel mio ruolo, in quell'ambiente, non mi diede fastidio. Anche le infermiere si rivolgevano ai genitori nello stesso modo. Io stessa sapevo chi era genitore di chi, il nome di ogni bambino del reparto e il numero della stanza assegnato a ogni paziente, ma non avevo acquisito il nome di nessuno dei disgraziati genitori che condividevano il corridoio con me.

-Ha riposato bene stanotte, non ha avuto dolori. -

-Bene, vuole seguirmi in ufficio? Facciamo due chiacchiere. -

-Ma nooo...- piagnucolò Lucas.

Tirai fuori pennarelli e qualche foglio e avvicinai il comodino con le ruote e il vassoio.

-Ti va di colorare un po' mentre sono via? Quando torno ho una sorpresa. -

-Che sorpresa? - volle sapere.

-Se te lo dico non è più una sorpresa. -

Lucas era poco convinto, ma accettò.

Io e Mancini uscimmo in corridoio. Camminava svelto, senza guardarsi indietro. Se fossi caduta in una botola non se ne sarebbe nemmeno accorto. Sparì dentro una porta con un "venga pure, mamma ", senza assicurarsi della mia presenza.

Comunque entrai e mi sedetti, tesa. Fino a quel momento le considerazioni di quel chirurgo sulla salute di mio figlio non erano andate oltre il "tutto normale".

Ascoltai attentamente il resoconto che mi fece Mancini sulla situazione che aveva trovato una volta aperto l'addome di Lucas, sulle cause, in parte congenite e in parte accidentali, che avevano portato all'occlusione meccanica del suo intestino, al metodo che aveva messo in campo per salvarlo e alle motivazioni delle sue scelte. Scandì ogni parola, mi disegnò la mappa intestinale di Lucas per agevolare la mia comprensione, e concluse con il tono soddisfatto di chi sa di aver esposto nella maniera più esaustiva possibile un discorso complesso in modo da renderlo comprensibile anche a un idiota.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora