Hai fatto un casino

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Il risveglio fu privo di imbarazzi: a indurci a far piano fu soltanto la volontà di non svegliare i bambini troppo presto. Volevo farmi trovare pronta e vestita da loro, per non confonderli né illuderli che i genitori fossero tornati a stare insieme. Accompagnammo Mattia a scuola e poi salutammo Ale; quel giorno sarei rimasta con Lucas e lo portai a casa mia.

Travolto dai giocattoli che non vedeva da settimane, passò ore a giocare in totale autonomia.

Io volevo tornare a concentrarmi anche sul lavoro: c'erano parecchie cose in ballo e tutte mi procuravano vari sentimenti che sfumavano dall'ansia all'angoscia sfiorando punte di panico. La casella mail era stata mantenuta pulita da J, che mi aveva creato una cartella delle cose importanti, eliminato il superfluo, classificato le proposte per le serate da parte dei locali e risposto a quante più richieste possibili di fan e aspiranti ballerine.

Quasi mi commossi: io non sarei mai stata tanto efficiente.

Decisi di lasciare a un secondo momento l'analisi delle proposte per le serate e concentrarmi sulla cartelle delle urgenze, pur sapendo che l'origine di tutti i miei pensieri più fastidiosi si annidava proprio lì.

Cliccai sulla sotto cartella che negli ultimi mesi mi aveva provocato i peggiori pruriti cerebrali e che portava il nome di ALAN.

Sospirando, iniziai a leggere le ultime novità.

Più leggevo e più mi si annodavano le idee. Non riuscivo a sbrogliare la matassa di paure e aspettative che le proposte di quell'uomo mi procuravano, e la situazione si protraeva da mesi. Io e J ne avevamo parlato a lungo, giungendo alla conclusione che no, non volevamo un agente né un accordo con una società di eventi che ci imponeva le coreografie di qualcun altro... per quanto quel "qualcun altro" fosse uno dei nomi più blasonati dei palcoscenici internazionali.

Ma l'agente Alan Falchi era tornato ripetutamente all'attacco con proposte via via meno stringenti, fino alla possibilità di mettere in piedi uno spettacolo sostanzialmente nostro, ma finanziato in toto dalla sua agenzia. Di contro noi avremmo ceduto i diritti della metà delle coreografie dello spettacolo, accettando di metterle in scena in altre 4 serate successive la cui regia rispondeva a quel "qualcun altro" così famoso e blasonato.

Da un lato, l'occasione era davvero ghiotta: la somma messa a disposizione da Falchi era sufficiente a realizzare la serata che io e J sognavamo da quando avevamo iniziato a muovere i piedi a ritmo di musica. Alan aveva già individuato lo spazio ideale per creare l'enorme tendone climatizzato e attrezzato che poteva accogliere coreografie aeree, giochi di luce e scenografie grandiose insieme a un pubblico di migliaia di persone. Uno squadrone di ingegneri e architetti aveva trovato il modo di sfruttare gli stadi e le loro caratteristiche e dimensioni realizzando un progetto che poteva adattarsi a molti di essi. L'idea di Alan era fantastica e aveva trovato il modo di renderlo reale. Quello che gli mancava era uno spettacolo all'altezza della sua struttura itinerante, così grandiosa da non poter certo ospitare semplici maxi schermi a immortalare per un vasto pubblico coreografie senz'altro eleganti come quelle dell' "uomo blasonato", ma non sufficientemente innovative e acrobatiche. Sarebbe stato come giocare a biglie in una pista bowling. Gli servivamo noi: una crew dotata di abilità acrobatiche e idee estremamente ingombranti ma sprovvista degli spazi e del denaro necessari a dar sfogo a quella creatività.

Falchi ci offriva l'occasione di volare, in senso letterale. Ma il rischio era che ci concedesse di farlo solo all'interno del suo cortile e legate al guinzaglio del suo coreografo.

Mi tremavano le gambe dall'emozione ogni volta che aprivo il file con il progetto del tendone itinerante di Falchi, ma mi risultava ancora indigesta l'idea di legarmi a terze persone. La nostra crew, fino a quel momento, era rimasta legata solo al nostro pubblico.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora