(Marco) Il peggio. Di me e di lei.

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Ero stressato. Non lo stress che di norma accompagna chi immerge quotidianamente le mani tra gli organi vitali di esseri umani, no, non quello stress lì.

Anche perché la cosa non mi aveva mai stressato. Stimolato, magari. Galvanizzato, elettrizzato, eccitato. Ma lo stress, quello vero, forse non lo sperimentavo dai tempi della facoltà di medicina.

Mi stressava il dover fare una scelta: Rochester o non Rochester?

Che poi, dannazione, io la scelta l'avevo già fatta.

Da quando erano gli altri ad attribuire un valore alle mie scelte?

Pensai a Michela, che mi aveva detto che stavo invecchiando bene. Aveva torto, evidentemente.

Ne avevo parlato anche con Daniele, chiaramente non in cerca di consigli che comunque non mi fornì.

Hai dei dubbi perché hai qualcosa da perdere, mi aveva detto. Benvenuto nel mondo degli esseri umani.

Nessuna rabbia, né avanzi di rancore, nel suo tono. Mi restituiva solo la lucida constatazione che ero cambiato, e che mi ci dovevo abituare.

Benvenuto un cazzo.

Ma stavo per sperimentare qualcos'altro: fino a quel momento ero stato causa, e mai vittima, di un abbandono.

Maia suonò al campanello quando era passata l'ora di cena già da un pezzo. Mi aveva avvertito che stava per arrivare.

Dobbiamo parlare, aveva scritto.

E anche il più rincoglionito dei maschi sa che quella frase non è affatto un cliché, ma una condanna.

Quando aprii la porta capii molto di quello che era accaduto, e di quello che stava per dirmi. Ma che, di fatto non mi disse.

Se dovessi scegliere quale forma e colore dare a una colpa, saprei trovare tutto il necessario nel volto di Maia di quella sera.

Gli occhi arrossati e la bocca imbronciata erano il marchio di fabbrica che il suo ex marito le stampava addosso ogni volta.

La prima cosa che pensai fu che si era fatta scopare.

Lo so, è un pensiero indegno. Ma sono un uomo, che vi devo dire.

Quando vidi che si stava contorcendo le dita per la tensione e che non era nemmeno in grado di dare vita a un saluto, andai in suo soccorso. Più o meno.

- Entra. -

Fece qualche passo avanti, quelli necessari a farmi chiudere la porta.

Mi guardava come fossi un oracolo e la cosa mi smosse un certo disappunto.

- Che cazzo è successo? (che cos'hai fatto?) -

Maia inghiottì a vuoto, scuotendo leggermente la testa.

- Ale dice... -

Sbuffai con stizza non appena pronunciò il suo nome, interrompendola.

- Sul serio, Maia? Lui dice qualcosa e tu vieni qui a riportare il suo Verbo di merda a casa mia? Te l'ha fatto incidere su due tavole di pietra, magari, quello che lui dice? -

- È complicato, mi dispiace, io non vorrei mai... -

- E allora non farlo. Tanto quello spara solo minchiate. -

Ma era combattuta. Come sempre, quando c'era di mezzo lui.

Sarebbe stato così per sempre? Avrei dovuto difenderla dai suoi attacchi? Difendere anche me? Noi? Avrei dovuto lottare io per entrambi? E quanto poteva durare, così? Quanto tempo gli sarebbe servito, alla fine, per farla inciampare sul suo letto e scoparsela?

E sono d'accordo con Maia, quando dice che, se fosse accaduto tutto in un momento diverso, non sarebbe finita così. Che se io non fossi stato stressato, se lei non fosse stata stressata, se io non fossi stato così incazzato, se lei non fosse stata così insicura, se io non fossi stato così stronzo e lei così cogliona, forse non le avrei detto che poteva andarsene a fanculo con il suo ex marito.

Forse l'avrei ascoltata di più, forse avrei trovato il modo di accettare che aveva avuto paura di perdere i bambini ma avrei anche potuto convincerla anche che era tutto un fottuto bluff. Forse sarei stato comprensivo, e lei avrebbe trovato conforto nelle mie rassicurazioni.

E poi forse, anziché fare sesso in piedi, nella posizione più assurda e scomoda mai inventata da essere umano per suggellare la fine della nostra storia, avremmo fatto l'amore di sopra, nel letto, per suggellare la nostra ennesima vittoria.

Anziché beneficiare di un incastro di carne, avremmo beneficiato di un incontro desideri.

Forse, anziché guardare le sue lacrime che scendevano lungo le guance mentre la prendevo contro un muro, le avrei leccato l'orecchio mentre affondavo tra le sue cosce accoglienti.

E forse, anziché uscire frettolosamente da lei dopo un orgasmo rabbioso invitandola ad andarsene e a non tornare mai più, avrei trascorso la notte abbracciandola tra le lenzuola sussurrandole che io per lei ci sarei sempre stato, e che non doveva aver paura di niente.

Forse, anziché una scena da film porno di terz'ordine, saremmo stati protagonisti di una scena da film strappalacrime che nessuno ammette mai di apprezzare ma che, si sa, sotto sotto...

Ma diedi il peggio di me, e anche lei diede il peggio di sé.

La scopai in piedi, contro il muro, e non la guardai mentre si tirava su gli slip e se ne usciva da casa.

Io, almeno, ero venuto.

Il giorno dopo accettai l'incarico a Rochester, chiesi di anticipare la partenza, ottenni un sì, avvertii Daniele, Christian e i responsabili in ospedale.

Partii senza chiamarla, né scriverle, covando una speranza che seppellii talmente in profondità che finsi non esistesse.

La speranza che mi contattasse lei.

Spazio autrice

cari lettori (se ce ne sono), questo capitolo segna un po' una frattura, non solo tra Maia e Marco, ma anche tra il prima e il dopo a livello di stile.
Il coinvolgimento dei protagonisti nel loro stesso vissuto, già da quando Maia si presenta da Marco per dirgli che ehi...abbiamo un problema, è totalmente diverso. I prossimi capitoli sono un gran bel rischio, una scommessa che forse non ho vinto. Non lo so.
Gli unici che possono dirmelo, siete voi.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora