(Marco) Purché non sia la nona stagione di Scrubs

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Arrivai a casa di Maia che era quasi mezzanotte. Aveva insistito affinché andassi, sebbene le avessi detto che avrei fatto tardi.

Bussai, temendo di svegliare i bambini suonando il campanello, e non usai le chiavi, temendo di spaventarla nel caso si fosse addormentata sul divano; insomma, un sacco di precauzioni per un gesto semplicissimo.

Lei mi aprì la porta con lo sguardo stanco e un sorriso accogliente. Aveva i capelli scompigliati, in parte sfuggiti all'elastico che pendeva, molliccio e arrendevole, da un lato della sua testolina. Mi avventai sulla sua bocca in cerca del suo calore umano, ignorando quello profuso dall'abitazione buia alle sue spalle.

Avevo cercato di non pensare a quello che avrei potuto leggere sul suo volto una volta che l'avessi raggiunta, ma avevo fallito.

Avevo avuto paura, sì.

Io, che pochi giorni prima le avevo detto che l'avrei lasciata se solo non fosse stata in grado di gestire la sua relazione con l'ex marito.

Io, che mi ero dichiarato ferito dalla sua regressione in termini di autostima.

Sì, proprio io, che mi ero affrettato a dirle che non sarei partito, temendo che le si insinuassero strane idee per la testa, avevo permesso che assurde incertezze si insinuassero nella mia.

- Fa freddo, vieni dentro - mi bisbigliò, chiudendo l'inverno fuori dalla porta.

Il bagliore della TV era l'unica fonte di luce nella casa: impiegai qualche istante a orientarmi.

Maia mi prese la giacca e la sciarpa, abbandonandole, come suo solito, in precario equilibrio su un attaccapanni che scricchiolò, presumibilmente implorando pietà, sotto il peso di un ulteriore e indesiderato carico. Riconobbi, nel gomitolo di giubbini disperatamente aggrappato a quel complemento d'arredo che difficilmente sarebbe sopravvissuto alla stagione, il piumino viola di Bianca.

- Tutto bene da Jennyfer? - mi informai, insospettito.

- Benissimo, è con Christian. Viola dorme qua. -

Mi arresi all'idea che quella notte Christian avrebbe fatto sesso, e io no.

Maia mi illuse che la mia convinzione fosse errata invitandomi sul divano e distendendosi sotto di me, accogliendo il mio corpo ancora infreddolito nel suo abbraccio caldo e tra le sue cosce roventi. Ma nonostante la sua lingua cercasse di convincere la mia che la cosa sarebbe proseguita, il suo corpo smentì ogni ulteriore possibilità di approfondimento mantenendo le distanze tra i nostri corpi con un sapiente uso di abiti in pile che non sembravano aver intenzione di cavarsi dai coglioni.

Quando la sua bocca liberò la mia mi rivolse qualche parola.

- Stasera niente sesso, doc... -

- Quindi cosa sono vento a fare? - la provocai, desiderandola con illecita convinzione.

- Sei venuto a farmi un sacco di coccole, a godere del calore del mio pigiama di pile e a raccontarmi con concise e semplici parole la questione di Rochester.-

Le lasciai un bacio sulla fronte e mi misi a sedere. Maia invece non sembrava interessata a nessuna posizione eretta, e si accomodò sdraiata, con la testa sulle mie gambe.

- Quello di Rochester è un programma per il quale non avevo presentato domanda. Se non mi interessava prima, non vedo perché dovrebbe interessarmi ora. -

- Ma loro vogliono te, giusto? Anche se non hai presentato domanda, ti hanno scelto. -

- Non mi risulta, francamente. Non ho ricevuto nessuna convocazione ufficiale. I corridoi di un ospedale raccolgono un sacco di pettegolezzi, Maia. A volte sembra bisbiglino persino i muri. -

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora