(Marco) Non troppa gente.

2.1K 124 87
                                    

Lasciai cadere la cenere della sigaretta ai miei piedi, fissando un cielo sgombro che non mi trasmetteva nulla a parte una certa noia logorante.

L'ultima emergenza affrontata era di tre giorni prima: da lì in poi, solo interventi programmati che avrebbe potuto effettuare anche un macellaio di paese.

Diedi l'ultimo tiro ed ero pronto a tornare all'interno dell'ospedale, ma dalle porte scorrevoli trasparenti vidi che stava uscendo anche Christian.

Accesi un'altra Marlboro, e attesi che mi raggiungesse.

- Vedo che hai sostituito il caffè con le sigarette - mi fece notare, non appena mise piede sul piazzale. Mi parve quasi irritato dalla cosa. Non me ne preoccupai.

- Un vizio acquisito a Rochester.

- Ma sei tornato in Italia e qui abbiamo del caffè vero, quindi cambia vizio.

Aggrottai la fronte: non avevo intenzione di raccogliere la provocazione.

- Dovevi dirmi qualcosa di un qualche rilievo o sei uscito solo per darmi il tempo di fumarmene un'altra?

Sbuffò. Da quando ero tornato, un paio di settimane prima, Christian mi era sembrato preoccupato. Forse preoccupato non era l'aggettivo giusto, ma non era il solito stronzo irritante e inaffidabile: si era palesato nel mio ufficio solo un paio di volte, limitandosi a espormi i casi per cui aveva bisogno di me. Non mi era piombato a casa senza preavviso nemmeno una sera e, a parte qualche domanda di rito, non aveva insistito per sapere quali prodigi avevano preso vita a Rochester.

Quando gli avevo chiesto di J, aveva risposto in modo evasivo. Dato che sull'argomento ero il primo a promuovere una certa noncuranza, non avevo insistito.

- Danne una anche a me, è meglio.

Ok, quello era troppo. Christian aveva senza dubbio una spiccata propensione all'alcol nel tempo libero e un'indecente inclinazione all'uso inappropriato del corpo femminile fuori dai corridoi del suo reparto, ma i suoi vizi finivano lì. Non gli avrei dato una mia Marlboro, non ero pronto a vedere collassare il mio mondo.

- Non esiste, non ti ho mai visto con una di queste in mano. Ma che ti prende?

Si guardò intorno, come un criminale che teme di essere intercettato dai federali. Se non avesse avuto una faccia dannatamente seria, sarei scoppiato a ridere.

- Dovresti venire a casa mia, stasera.

- Perché?

- Perché te lo sto chiedendo io.

Non ero affatto certo di voler correre determinati rischi. Lo misi subito in chiaro. Beh, non proprio in chiaro. Ci girai un po' intorno, ecco.

- Chi ci sarà?

- Non rompere i coglioni. Non troppa gente.

- Che vuol dire non troppa gente? Ti aggiri per il pianeta con una faccia da zombie e ora mi inviti a una specie di festa a casa tua? Cazzo, sono stato via sei mesi e guarda come sei ridotto...

Mi strappò di mano il pacchetto di sigarette. Me lo ripresi con altrettanta determinazione.

- Tu non fumerai, cazzo. Che c'è a casa tua stasera?

Affondò le mani nelle tasche del camice.

- C'è che quella psicopatica della mia fidanzata s'è messa in testa idee strane.

Che nella testa di Jennyfer albergassero idee discutibili non mi stupì affatto: non mi aspettavo nulla di diverso dalla donna che era riuscita a mettere il guinzaglio persino a un tipo come Christian. Il coinvolgimento di J nell'umore di Christian, tutto sommato, mi tranquillizzò.

- Che tipo di idee?

Christian sembrò pensarci su, collezionando una serie di smorfie inedite che espose sulla faccia per diverso tempo, prima di sputare il rospo.

- Insiste che dovresti essere tu, il padrino.

Impiegai qualche secondo, per fare mente locale. Non appena incasellai le informazioni, sentii affiorarmi un sorriso tanto ebete quanto sincero sulle labbra.

- Porco cazzo... diventi papà!

Finalmente, quel coglione del mio amico liberò l'espressione da babbeo che mi aspettavo di vedere sulla faccia di tutti quelli che perdono volutamente il controllo dei propri spermatozoi e ne spediscono uno nella meta della donna giusta. Finalmente, mi parve felice. O emozionato. Difficile dirlo: Christian, prima di Jennyfer, non si era mai spostato più in là dall'essere semplicemente soddisfatto.

- Sì, pensa sta povera creatura disgraziata, con un padre come me e un padrino come te.

- Meno male che ha una madre come Jennyfer.

- E una madrina come Maia.

Rimasi solo sul piazzale nel giro di una frazione di secondo. Christian mi piantò quel nome nel petto come una coltellata, scomparendo all'interno dell'atrio con la destrezza di un David Copperfield 2.0.

Maia. La stronza.

Beh, sapevo che prima o poi l'avrei dovuta rivedere.

Rientrando, comprai un altro pacchetto di Marlboro.


SPAZIO AUTRICE

Finalmente qualcosa è accaduto! Ma qualcos'altro sta per accadere.

Prossimo capitolo: Maia, giusto per farci un giro nella sua testa bacata.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora