(Marco)Uno stato d'animo inedito

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Avevo salutato mio figlio in stazione, consapevole che la successiva occasione in cui ci saremmo rivisti sarebbe stata con tutta probabilità al funerale di sua madre.

Insieme avevamo raccolto le idee per farci trovare pronti: avevamo scelto una sua foto, l'abito da farle indossare e anche la ONLUS cui far devolvere le eventuali donazioni di amici e parenti; ai fiori avrei pensato io.

Daniele era serenamente rassegnato al destino di Michela. La cosa, paradossalmente, mi preoccupava. Mio figlio era cresciuto troppo in fretta, in un ambiente quasi anafettivo, e temevo che questo influenzasse negativamente la sua vita sociale.

Prima di partire mi aveva aggiornato sull'ottimale situazione dei suoi studi di ingegneria meccatronica. Non aveva perso un solo esame, i suoi voti erano molto alti. Daniele era orgoglioso del suo percorso, e io ne ero felice.

A cena, la sera prima, mi aveva chiesto, con sincera preoccupazione, se era per me un problema l'aver scelto un percorso non strettamente medico.

Gli avevo risposto che un caro amico sosteneva che un chirurgo è più vicino all'essere un ingegnere che all'essere un medico. Aggiunsi anche che, ad ogni modo, mi interessava la sua crescita umana più di quella professionale. La cosa lo stupì.

Non gli avevo detto che mi stavo interessando anche alla mia, di crescita umana. Forse lo aveva intuito da solo in quei giorni. Era la mia speranza.

Speranza che guadagnò di concretezza qualche minuto prima del mio arrivo a destinazione: Daniele mi aveva spedito una foto su whatsapp. Lo ritraeva insieme a una sua coetanea, abbracciati e sorridenti. Sotto aveva scritto un messaggio.

Quando torni ti presento Alice. Studia letteratura contemporanea. E' un buon indizio per la mia crescita umana? :)

Era un ottimo indizio. Gli risposi che anche io avevo qualcuno da presentargli.

Quando il FrecciaRossa si fermò mi concedetti un sospiro di sollievo: avevo iniziato a voltare pagina. Avrei fatto in modo che nel capitolo successivo ci fosse più posto per Daniele.

Scesi accolto da un cielo grigio e da una nebbia umida: non proprio un toccasana per l'umore. Sfilai il cellulare dalla tasca per chiamare un taxi quando una voce timida ma famigliare pose fine alla mia intenzione.

- Pensavo di offrirti un passaggio. -

Maia aveva i capelli inumiditi dalla nebbia, il viso pallido per il freddo. Era così infagottata che avrebbe potuto nascondere un pastore maremmano sulla schiena e non si sarebbe notata la differenza.

Lei fu un toccasana per l'umore.

***

Le raccontai di Michela a pranzo, davanti a una pizza che avevamo ordinato tornando a casa. Non tralasciai nulla: non i tradimenti, non i tentati suicidi, né la mia indifferenza alla sua condizione o le mie infinite mancanze nella crescita di mio figlio. Non mi permisi di sorvolare sulla consapevolezza di ogni scelta e di ogni azione. Non le risparmiai, né lo feci con me stesso, la mia determinata volontà di inseguire la carriera. Fui onesto anche nel riconoscere che non lo facevo per i risvolti economici che mi avevano consentito di mantenere Michela e Daniele oltre a me stesso in città differenti. Spiegai con tutta la razionalità di cui ero padrone che lo avevo fatto ad esclusivo vantaggio del mio insaziabile spirito competitivo. Ero perfettamente lucido quando avevo fatto le valigie lasciando una ex moglie profondamente depressa in clinica e un figlio poco più che maggiorenne a sbrigarsela da solo tra lavatrici ed esami di ingegneria. I miei bonifici avevano sostituito la mia presenza e la mia partecipazione, e questa golosa opportunità era stata per me di grande sollievo. Lontano da loro, avevo potuto interessarmi esclusivamente al mio lavoro e, di conseguenza, a me stesso.

- E senza particolari rimorsi - conclusi. Alzai lo sguardo dalla pizza fredda e collosa per cercare qualcosa di rassicurante in quello di Maia.

Aveva gli occhi lucidi. Bevve un po' d'acqua prima di trovare le parole.

- Mi aspettavo qualcosa del genere, in effetti - fu tutto quello che le uscì dalla bocca.

- Qualcosa del genere, ma non esattamente questo, suppongo. -

- No, non esattamente questo. Non un uomo che non riesce a dare la precedenza ai suoi affetti nemmeno dopo la bellezza di tre tentativi di suicidio da parte della donna che ha sposato. Non un uomo che lascia che il figlio venga cresciuto ed educato da una maniaca depressiva pericolosa per sé stessa e potenzialmente anche per gli altri. Non sei stato solo un fottuto stronzo, Marco. Sei stato un genitore irresponsabile e la tua condotta ha quasi ucciso la tua famiglia.

Avevo pensato molte cose di me, in quegli anni. Ero stato inseguito dai fantasmi notturni che avevo battezzato come tardivi sensi di colpa, e mi ero arreso alla loro presenza. Ero anche consapevole di avere un ruolo da protagonista nella depressione cronica di Michela. Eppure mai avevo dato voce a quella latente consapevolezza, a quell'ombra così scura da non potersi nascondere nemmeno nel buio delle mie notti insonni. Non avevo mai accettato di aver deliberatamente messo in pericolo la vita di Daniele.

Deliberatamente. Consapevolmente.

Per la prima volta liberai uno stato d'animo inedito, conservato a lungo e sotto chiave nei più nascosti meandri del mio animo. Liberai la belva, furiosa, umiliante. Liberai la vergogna e ne fui inondato. La lasciai avvolgermi, stringermi la gola, mordermi lo stomaco. Arrivò la nausea ma quella la controllai. Bussarono anche le lacrime ma soffocai pure quelle. I sensi di colpa non erano nulla. Pensavo fossero fantasmi e avevo ragione. A essere concreta, tangibile, reale era la vergogna. Valevo molto meno di quello che mi piaceva credere e far credere. Lo avevo sempre saputo. Non valevo nulla senza un bisturi in mano. Michela me lo aveva detto, e aveva ragione.

Maia si alzò e mi si sedette in braccio, a cavalcioni, guardandomi e prendendomi il viso tra le mani.

- Non ti chiederò se cambieresti qualcosa avendo la possibilità di tornare indietro. Perché tornare indietro non si può, Marco. Mi sono innamorata di te senza nemmeno sapere il perché. Non avrei mai potuto amare il pezzo di merda che si è pulito le scarpe sulla sua famiglia per oltre un decennio. Quindi, o hai acquisito la capacità di provare interesse anche per la vita che scorre nelle persone al di fuori dalla sala operatoria, oppure io ho preso una cantonata paurosa. In quest'ultimo caso, doc, ti pagherò la pizza e uscirò da quella porta. Cancellerò il tuo numero, piangerò giorno e notte finché sarà tutto scivolato via. A quel punto ricostruirò i miei pezzi e vivrò sorridendo anche senza di te. Dimmi, Marco. Posso vivere sorridendo insieme a te, o devo iniziare a incamminarmi verso l'uscita? -

- Resta con me, Maia. Non so che uomo potrò essere da qui in poi, ma mi sento di escludere la possibilità di tornare ad essere quello di prima. So che meriteresti ben altre garanzie, ma questo è tutto quello che ho e mi terrorizza l'idea che per te non sia sufficiente. -

E Maia non se ne andò. Ricordo distintamente l'attimo in cui il suo sguardo tornò ad avere quella patina materna, indulgente e comprensiva che non riuscivo ad accettare del tutto, ma che inspiegabilmente mi rasserenava.

Compresi quanto incondizionatamente potesse amare quella donna, e quanto questo mi facesse percepire un senso di fastidiosa iniquità nelle sue scelte nei miei confronti.

Per un uomo come me, godere dell'amore di una donna come lei era pericoloso. Per lei e per me. Quanti errori avrebbe potuto perdonarmi in cambio di una promessa? Sarebbe stato facile per uno con il mio passato abusare avidamente del suo atteggiamento materno.

Era questo che pensavo, mentre lei mi abbracciava, fiduciosa. La baciai convinto che sarei riuscito a meritarmelo davvero, il suo amore. Che avrei conquistato anche il suo rispetto e che non ci sarebbe più stato bisogno della sua indulgenza.

Potevo essere amato da una donna senza distruggerla. Potevo amare una donna senza abusare delle sue vulnerabilità.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora