(Marco) La mia decisione, e se la faranno andare bene tutti.

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La convocazione arrivò nella seconda metà di gennaio tramite una mail indirizzata a me e, per conoscenza, all'intero consiglio di amministrazione ospedaliero.

Una lunga mail piena di fronzoli anglosassoni che mi annoiò dopo le prime dieci righe.

Tutto sommato, l'accolsi quasi con sollievo: almeno potevo mettere fine a quella storia.

Non che in quei giorni Maia fosse tornata sull'argomento, ma Christian lo aveva fatto più volte.

Spensi il PC: il mio turno era finito.

Uscii dal reparto evitando accuratamente di incrociare quel rompicoglioni del mio più grande amico.

***

Lo sanno già tutti, testa di cazzo

Sbuffai, leggendo il messaggio di Christian. Inviai una domanda provocatoria:

E quindi?

Sapevo che poteva uscirne uno scambio irritante. Christian mi rispose in pochi istanti:



Potevi dirmelo. Ci vai? Non fare il coglione.

Non avevo ancora una risposta: a due ore di distanza dalla convocazione non avevo trovato né la voglia di lasciare Maia né il desiderio di fare i bagagli. Non mi solleticava più di tanto l'idea di arricchire il mio bagaglio professionale in un altro continente.

In ogni caso l'accordo era di confrontarmi prima con Maia, e lo avrei fatto. Magari non quella sera. E nemmeno il giorno dopo. Prima o poi, ecco. Prima o poi lo avrei fatto.

Ma Christian aveva altri piani:

Stasera a casa tua. Io, J e Maia. Ho anche già ordinato le pizze.

Sì, anche la tua, tanto sei noioso e rendi sempre la stessa. Arriviamo alle 20.

Se sei incazzato, fattela passare. Ho ragione io.

Erano le 19. Non ero incazzato. Ero rassegnato. Iniziai ad apparecchiare.

***

Che ero strano Maia lo colse subito, ma attese che i cartoni delle pizze contenessero solo qualche crosta e la mozzarella in eccesso, prima di chiedermi qualcosa.

Almeno, Christian aveva avuto il buon gusto di non anticiparle nulla.

- Ehi doc, sei silenzioso stasera. Tutto ok? -

Vidi lo sguardo di Christian saettare su di me. J invece fece vagare il suo sulla tavola, torturandosi le labbra con i denti: lei sapeva.

Mi schiarii la voce.

- Tutto ok. Oggi è arrivata la convocazione per Rochester. -

Maia non parve scomporsi più di tanto. Forse se l'era aspettata.

- Dovresti esserne orgoglioso. Io lo sono, di te. -

Non era la reazione che mi ero immaginato. Avevo supposto che mi avrebbe incoraggiato a partire, oppure a restare... avevo pensato che, più o meno inconsciamente, una qualche posizione l'avrebbe presa fin da subito.

Ma quella... beh quella era una reazione che mi piaceva.

E dove cazzo la trovavo un'altra come lei?

- Grazie. Ma non ho ancora le idee chiare sul da farsi. -

Christian sbuffò, evidentemente risentito. Lo ignorai, e anche Maia.

- Quanto tempo hai a disposizione per schiarirtele? -

- Dieci giorni. -

- Basteranno, Marco.-

- Ma se non è bastato un mese, Cristo di Dio! - sbottò Christian.

J lo fulminò con uno sguardo carico di rimprovero.

- Non sono scelte facili - gli disse.

- Sì che sono facili, cazzo! Va a Rochester, impara quel che deve imparare, insegna quel che deve insegnare, torna e ricomincia a scopare con Maia esattamente come prima! -

Stappai una birra, con il solo intento di annegare la tensione in quel misero apporto alcolico.

- È una possibilità, infatti - intervenne Maia, più divertita che irritata.

- E l'altra qual è, Maia? Che lui resta qui, tu ti fai scopare dall'allegro chirurgo e quelli di Rochester si aggiudicano un Nobel che sarebbe più meritato con i neuroni di Marco in squadra con loro? -

- La smetti di parlarle così? - sbraitò Jennyfer, sempre più contrariata dal tono di Christian. Tono che, per altro, stava facendo incazzare anche il sottoscritto.

- Non ce l'ho conte, Maia. Ma cazzo, ti pare normale che si sia rammollito così? -

Maia sospirò, posandomi una mano sul braccio per invitarmi silenziosamente alla calma che avevo definitivamente perso.

- Marco farà la scelta giusta, Christian. E senza bisogno che sia tu a imboccarlo con la tua filosofia di vita. Non ha bisogno di bere dalle mani di nessuno, ha solo bisogno di pensare. -

- Non c'è un cazzo a cui pensare. -

- Ok, ora basta. -Sbottai, stanco di sentirli parlare di me come se non ci fossi o fossi troppo rincoglionito per intervenire. - In questi dieci giorni prenderò la mia decisione, e non me ne frega un cazzo di quello che è giusto e quello che è sbagliato. Sarà la mia fottuta decisione e se la faranno andare bene tutti, da qui a Rochester e anche su Marte, dovessero coinvolgere anche i neuroni alieni. -

Christian arricciò le labbra, scuotendo la testa. Maia fece spallucce, sufficientemente convinta. Jennyfer si scolò una birra direttamente dalla bottiglia. Io sperai che intervenisse qualche fattore esterno, in quei dieci giorni, a risolvere la mia situazione. Fui accontentato, e andò tutto a puttane da lì a una settimana.

SPAZIO AUTRICE

Cari lettori, non so se esistete, ma se esistete vi sarete resi conto che stiamo andando verso l'epilogo, e prima dell'epilogo si sa... qualcosa deve andare più storto del previsto.

Vi va di scoprire in che modo i miei personaggi decidono d complicarsi sapientemente la vita da soli?

Vi anticipo che il loro è un talento NON invidiabile.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora