(Di nuovo Marco, che palle) Pare post orgasmo

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Poi mi svegliai, la luce del lampione che filtrava dalle fessure della tapparella.

Maia era sveglia, disegnava circonferenze e spirali sul mio petto con al punta delle dita. Era buio, ma non mi occorreva più luce per intuire un po' di tormento nella sua espressione.

E anche se sono a tutti gli effetti un maschio, l'origine del tormento non mi era del tutto sconosciuta.

- C'è qualcosa che vuoi sapere di Rochester, Maia? -

Fece un piccolo sospiro, senza smettere di muovere la mano sulla mia pelle.

- Non lo so. Non so se sia peggio sapere o non sapere. -

- Allora bisogna provare - risposi, usando una frase che, tempo prima, aveva pronunciato lei a me.

- Ok... vediamo... erano più giovani? -

E avrei dovuto immaginare, che tra i vari dubbi, quello fosse uno dei più legittimi secondo il suo modo di pensare. Valutai e scartai varie ipotesi di menzogne, prima di rispondere.

- Forse un paio. Ma non in misura rilevante. -

- Solo un uomo di scienza poteva formulare la risposta in questo modo - commentò, con amara ironia.

- Altre curiosità? -

Sapevo di essermi infilato in un vicolo pericoloso: l'autostima di Maia era fragile in quel momento. Ma ero saldamente convinto che avrei mentito in modo convincente, se necessario, per salvaguardare il suo benessere. Io sapevo di non aver lasciato niente che suscitasse il mio interesse a Rochester, ma convincerne Maia era tutt'altro affare. Senza contare che, forse, non era nemmeno una condizione sufficiente a conquistare la sua serenità nell'immediato.

- Parlami di loro. -

- Non c'è molto da dire, Maia. Davvero. Per lo più due capriole tra le lenzuola e basta. -

- Lo dici come se fosse normale così. -

Per me lo era. Lo era stato, quantomeno.

- Espongo i fatti così come sono avvenuti. -

Sbuffò e fece per allontanarsi, ma la strinsi a me: non era così che poteva finire quel discorso. Era come abbandonare una miccia inesplosa su un prato pieno di bambini.

- Ascoltami, Maia. Non starò a raccontarti singoli episodi, dettagli scabrosi, non ti farò la telecronaca di scopate prive di significato. Ti lascio solo due dettagli, ok? Due dettagli che sono sufficienti a darti la misura del nulla cosmico che ho fatto a Rochester al di fuori dell'ospedale. Va bene? -

Accettò di restare a letto, ancora nuda e calda, accanto a me.

- Va bene. -

Feci un sospiro, evocando un ricordo di cui non sarei mai andato orgoglioso.

- Della prima che ho portato a casa non ricordo più il nome. Ho il sospetto che iniziasse con la K, ma non ho certezze. Mi ricordo di lei perché guardavo te in televisione mentre mi faceva un pompino. - Sentii Maia agitarsi un po', ma proseguii. - Mi ricordo benissimo del momento in cui hanno proclamato la vostra vittoria, perché è coinciso con quello in cui mi si è afflosciato il cazzo tra le sue mani, Maia. -

Parve perplessa per qualche attimo.

- L'hai più rivista? -

- No, direi che l'esperienza non è stata memorabile per nessuno dei due. -

Sorrise, ma con poca convinzione.

- Dopo ne ho portate a casa altre, due o tre, non di più. -

Maia mi guardò con una smorfia assassina.

- Ok. Tre. -

- Com'erano? -

- In che senso? -

- In tutti i sensi. Le hai portate a casa perché ti piacevano. Cosa ti piaceva tanto da portarle a casa? -

E compresi che Maia non avrebbe mai potuto capire che per uno come me, portarsi a casa una donna non ha necessariamente a che fare con qualcosa di emotivo. Che a volte, come accaduto a Rochester, ha a che fare solo con lo scacciare la solitudine, o con la voglia di scopare fine a se stessa, o con il bisogno di dimostrare a se stessi di poter ancora infilare l'uccello in una vagina e goderne o, ancora, con la necessità di non pensare che l'uccello lo stai infilando nella vagina sbagliata.

Non c'era nulla che potessi dirle e che potesse indurla all'illuminazione in merito alla mia concezione del sesso occasionale.

Quindi mentii, perché tutto sommato non avrei fatto danni e anche perché non avevo davvero una scelta.

- Mi piaceva il fatto di poterle scopare e poi dimenticare. Come facevo prima di conoscere te. -

- Non si può dimenticare una persona con cui...-

- Sì che si può - la interruppi. - Ma non era questa la seconda cosa che volevo raccontarti. Io volevo raccontarti di Sharon. -

Maia drizzò le orecchie. L'aver usato un nome, le diede un senso di concretezza e pericolo imminente.

- Con Sharon mi sono frequentato fino al mese scorso. -

Ancora una volta Maia ebbe l'impulso di abbandonare il mio letto. Ancora una volta, la convinsi a restare con me.

- Ascoltami. Era una brava ragazza, davvero. Mi ha chiesto di restare a Rochester, e avrei potuto, Maia. Un posto per me là c'è, sai? Me l'hanno offerto. Avrei avuto un lavoro e una Sharon. Ma non c'è stato un solo momento, in quei sei mesi, in cui ho sperato di poter restare lì. Mai. Il desiderio di piantare radici non ha mai germogliato, nemmeno ci è andato vicino. E quando sono tornato qui, senza una cazzo di Sharon a offuscare le mie inutili facoltà mentali al di fuori del lavoro, sono stato davvero di merda. Mi ha annoiato anche il lavoro. Quello stronzo incallito di Christian mi ha lasciato a mantecare nella mia condizione. Forse lui l'ha capito prima di me, che ero tornato per te, e che era inutile cercare modi di rimandare l'ammissione della verità. Sono tornato per te, Maia. -

Avevo sperato di convincerla, e forse in parte ci ero riuscito. Aveva ancora qualche interrogativo a passeggiarle nella testa. Senza dubbio i più stupidi, che sarebbero stati anche i più difficili da estirpare. Perché le donne sono così, non si accontentano di avere la parte migliore di un uomo, no. Loro vogliono tutto.

- E adesso dimmi a cosa pensi, avanti - la incoraggiai.

Coraggio.

- È che non riesco tanto a digerire il fatto che hai fatto con loro quello che hai fatto anche con me stasera. E lo so che di fatto eri single...-

Come previsto, Maia non era in grado di concepire il mio sesso occasionale nello stesso modo in cui lo concepivo io.

- Niente di quello che ho fatto con te stasera si avvicina anche solo vagamente a quello che ho fatto con chiunque a Rochester. Forse, ci si avvicina pericolosamente quello che ho fatto con te l'ultima volta che ti ho vista prima di partire. E, credimi, è qualcosa di cui mi vergogno. -

Non so se la convinsi ad archiviare certi suoi pensieri scomodi in modo definitivo, ma ottenni quantomeno una pausa dal tormento che provava.

Maia mi baciò. La strinsi, finalmente appoggiò la testa e sembrò intenzionata a riposare.

SPAZIO AUTRICE.

Anche stavolta non so cosa aggiungere. Mi sembra strano essere quasi alla fine.

La sindrome dell'eroe giace compiuto nel PC ormai da mesi, ma rilasciarlo qui mi fa molto più effetto.

Martedì pubblico l'epilogo.

Poi è finito...ma ho partorito 2 capitoli inutili (ancora più inutili di questi, sì) con il POV di Jennyfer e Christian (2 years later).

Butterò fuori anche quelli, non ha senso morire nel pc.

Grazie a chi è arrivato fin qui!


La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora