Biscotti che fanno bene. Parole che fanno male.

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Io e Ale continuammo ad alternarci all'ospedale con Lucas e a casa con Mattia. Avevamo trovato un buon ritmo, e Lucas migliorava di giorno in giorno. Non aveva più il catetere per la pipì né gli elettrodi collegati al monitor. Ovviamente aveva le flebo per le terapie, e il catetere alla gola per l'alimentazione.

Mancini continuò a visitarlo quotidianamente finché, al decimo giorno di ricovero, diede una svolta alla situazione.

-Che ne dici se più tardi ti diamo qualche biscotto? -

Lucas si illuminò.

-Sì, ho tanta fame. -

-Hai ragione tesoro, sono passati tanti giorni dal tuo ultimo pasto. -

Poi si alzò e si rivolse a me.

-Allora, signora mamma, gli facciamo portare un po' di biscottini, ok? - ma non attese la mia risposta, e proseguì senza interrompersi. - Gliene può dare uno ogni mezz'ora o ogni ora, ma consideri che la quantità che le faremo avere dovrà bastare fino a sera. -

-Va bene, dottore. Posso farlo bere? -

Sembrò quasi stupito di avermi concesso il lusso di porre una domanda sensata.

-Sì, assolutamente. A piccoli sorsi inizialmente, poi man mano può aumentare la quantità. Domani, se sarà andato tutto bene, potrà idratarsi normalmente. -

-E posso farlo alzare per fare qualche passo? -

Stavolta nessuna sorpresa nella sua espressione.

-No, attendiamo almeno un altro giorno. -

Mi limitai a un cenno della testa per comunicare che avevo incamerato la risposta.

Mancini fece per girarsi e lasciare la stanza, ma si bloccò quasi subito.

-Ah, oggi si sono liberati diversi posti letto, quindi finalmente possiamo fornirvene uno in più in camera. La degenza di Lucas è lunga, necessitate di qualche nottata più confortevole anche voi genitori. -

Rimasi stupita io stavolta, ma fui grata per quell'accortezza. Le poltrone reclinabili, alla lunga, erano diventate un incubo per la mia schiena, e senza dubbio anche per Ale.

-Oh, grazie. Non le nego che lo apprezzo davvero tanto. -

-Come siete organizzati per i pasti? - volle sapere. - Potete farvi arrivare qualcosa dalla mensa a pagamento, ne eravate informati? -

-Ci portiamo i pasti da casa. -

Spese una frazione di secondo per analizzare la mia figura. Fu un lampo, ma lo percepii con chiarezza.

-Cerchi di non perdere troppo peso - concluse, e si congedò alla velocità della luce con un saluto appena accennato che non ebbi tempo di ricambiare.

Mi voltai verso Lucas che era ancora sorridente.

-Mamma! Biscotti! - urlò. Ero felice quanto lui.

***

Ale arrivò poco dopo l'ora di pranzo e lo aggiornai sulle novità. Nel frattempo era arrivato il letto per noi genitori, Lucas aveva mangiato qualche biscotto e sorseggiato un po' d'acqua. Sembrava procedere tutto bene.

-E tu come stai? - mi chiese Ale.

-Non lo so. Credo che i miei pezzi siano ancora tenuti insieme dall'adrenalina. Quando crollerà tutto mi ci vorrà un po' per ricostruirmi. J sta portando avanti il lavoro per me, io non ho la testa per studiare nuove coreografie e cercare nuove basi. Mi limito a qualche post sui social. -

Fissai il mio ex marito e le sue occhiaie scure sotto gli occhi rossi. Mi chiesi se avessi il suo stesso aspetto provato.

-E tu? - aggiunsi.

-Come te, ma lo avrei detto con meno parole. -

Sorrise, probabilmente per rassicurami sul fatto che non era una critica. Litigavamo spesso, da sposati, per le sue frecciatine. Non capiva quanto mi urtassero i nervi nelle migliori delle ipotesi, e quanto mi ferissero nelle peggiori. Avevo compreso che il nostro matrimonio era finito circa due anni prima, nel momento in cui tutto ciò che mi diceva aveva smesso di procurarmi una reazione, compresa la frase "ti amo".

-Scusa se sono stata prolissa. - Non riuscii a trattenere la stizza. Sarà stata la stanchezza a parlare per me.

Ale sospirò e si rabbuiò.

-Scusa se mi interesso del tuo stato di salute. -

-Ti interessa così tanto che hai contato le parole che ho usato per risponderti. -

Era un battibecco dai toni rassegnati, tipico di una coppia disfatta dopo un lungo amore. Pensai che da fuori doveva essere una scena patetica.

-Perché interpreti così a cazzo tutto quello che dico? -

-Certo, adesso è colpa mia se pronunci frasi di merda. -

Ale scosse la testa, rassegnato nello spirito quanto nelle parole. Non mi piaceva vomitargli addosso il mio astio. Ma non sopportavo più nemmeno la sua volontà di sentirsi sempre un gradino sopra gli altri. Un gradino sopra di me.

-Vorrei sapere in quale momento della nostra vita ogni mia parola è diventata una pugnalata per te. -

-Nell'attimo in cui hai iniziato a usare le parole come pugnali, credendo fossero stuzzicadenti. -

Ci guardammo per qualche secondo, concedendoci di rievocare il dolore inevitabile di un amore soffocato fino alla morte dai suoi stessi protagonisti.

-Ora devo andare o farò tardi alla scuola di Mattia. -

Mi abbassai a dare un bacio sulla fronte di Lucas, che reagì come suo fratello: strofinandosi la pelle offesa dal mio affetto.

Quando passai di fianco ad Ale mi fermò e mi abbracciò. Ricambiai, assecondando il mio istinto affettivo.

-Mi dispiace - mi disse, e io non capii se si riferisse a quel battibecco, o a tutti quelli precedenti alla nostra separazione. Ma che importanza aveva?

-Anche a me - risposi. Ed ero sincera.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora