MAGGIO

2K 126 87
                                    


(MARCO)


La precisione delle incisioni era migliorata e ne avevamo ridotto ulteriormente lo spessore. Interventi qualitativi in termini tecnici ne avevamo prodotti a sufficienza, ma io restavo inamovibile nella mia convinzione che il bandolo della matassa relativamente alla mancanza di efficienza della microchirurgia in quanto a recidive e complicazioni post operatorie non fosse tanto da ricercare nel mezzo, quanto nella mano di chi lo guidava.

Quelli di Rochester sembravano più intenzionati a investire sulla produzione del mezzo robotico che sulla formazione del personale.

Ci stavo litigando da settimane, seppur con compostezza. Oltre oceano la mia autorità aveva un peso specifico diverso, e la mia già scarsa inclinazione nel mettere in discussione qualunque mia decisione, assunse le sembianze di una sempre meno celata intolleranza.

- Collaborazione. Lavoro di gruppo. Scambio. Condivisione. Sei lì per queste cose, idiota. Adattati ancora per qualche mese, poi torni a scassare la minchia qua, dove tutti i tuoi sudditi non aspettano altro che venerare il loro indiscusso monarca del bisturi. -

Christian non aveva perso la sua verve irritante: ero tutto sommato lieto che almeno quello non fosse cambiato, in mia assenza. Lo avevo chiamato io, con l'intenzione di non dirgli niente, e invece gli stavo dicendo tutto.

- Bah, la metà di questa gente se la cava meglio con una tastiera che con un fegato tra le mani. Cazzo ci sto a fare, qui, se poi non mi danno retta? -

- Ma se finora l'hai sempre spuntata! Non dire cazzate. -

- Sì, perché l'oggettività delle mie conclusioni è indiscutibile...-

- Sempre umile, vedo. -

- ... ma sono stanco di sprecare fiato. -

Christian sbuffò.

- Senti, lamentati finché ti pare, con me o con le mignotte che ti trovi lì a Rochester, ma finisci il tuo lavoro e poi torna a mettere in pratica quello che stai imparando... perché anche se ti rifiuti di ammetterlo, qualcosa stai imparando. -

- Sì, come no. -

- Va beh... pensala come vuoi. Ti saluta anche J...-

Buttò lì la frase con la stessa enfasi di un pescatore che lancia un amo in una pozzanghera sperando di pescare una balena.

- Ricambia il saluto – tagliai corto. Ovviamente non avevo nulla contro J. Non era colpa mia se la sua migliore amica era una stronza senza spina dorsale, né colpa sua.

- C'è qualcosa che vorresti chiedermi? - volle sapere Christian.

Molte cose avrei voluto chiedere. Ma in quei giorni non lo avrei mai ammesso. Non ne ero forse nemmeno del tutto consapevole. Avvertivo un certo fastidio, la sera, quando ero solo. Quindi cercavo di non essere mai solo: non ero più abituato a passare la notte con ombre e fantasmi.

- Assolutamente no – risposi.



(MAIA)

Avevo chiesto e ottenuto da Ale che i bambini restassero da me per due settimane consecutive. Da giugno sarei tornata a immergermi nel lavoro, e anche dopo la battle non ero riuscita a recuperare il tempo perduto.

Quindi mi presi quelle due settimane, e ci costruii qualcosa di mio. Anzi, di nostro.

Avevano ancora la scuola, ma mi piacque quella nostra serena quotidianità: mi presi una pausa da tutto, tranne che da J e dai miei figli.

I venerdì e i sabati divennero serata "cinema e pop corn" con Bianca e J.

Nei pomeriggi, una volta finiti i compiti, a volte ci si accontentava di leggere qualcosa sul divano, ma più spesso si andava al parco con i compagni di classe, oppure in centro a fare due passi.

Io mi sentivo bene, ero felice, e lo erano anche i miei bambini perché non ricordo sfuriate, né scenate, né capricci mal gestiti.

Ma forse qualcosa mi stava sfuggendo.

Lo compresi una sera, quando ero certa che Mattia e Lucas stessero già dormendo, e io ancora cercavo tra i canali della TV un buon motivo per decidere se andare a letto o se restare su quel divano.

- Mami? -

Ora, se non siete genitori forse non ci crederete, ma verrà il giorno in cui mi darete ragione: non c'è nulla di più inquietante della voce assonnata di un bambino che accoltella improvvisamente la notte in una stanza buia. Sappiate inoltre che il bagliore della tv conferirà alla figura spettrale dei vostri figli comparsi dal nulla un aspetto mortalmente inquietante.

Ma voi fate come me, fingete di non aver appena soffocato un infarto, e sorridete.

- Amore, che succede? -

Mattia si accomodò sul divano insieme a me e mi abbracciò.

- Hai fatto un brutto sogno? - gli chiesi.

- No, ma avevo voglia di stare con te. -

Gli accarezzai i capelli e gli regalai un bacio sulla fronte che, forse per la prima volta da chissà quanto tempo, non schifò e non cancellò con una strofinata della mano.

- Va bene. Però spengo la tv, ok? Altrimenti domani a scuola sei troppo stanco. -

- Mamma? -

- Eh. -

- Perché sei triste? -

Inghiottii. Io lo sapevo che Mattia "sentiva", che era una spugna, che catalizzava su di sé gli umori degli altri senza essere sempre in grado di dare un nome o una spiegazione a certi stati d'animo. Io lo sapevo, ma avevo sperato di sbagliarmi.

Speravo che Mattia non sentisse su di sé i disagi, non avvertisse il disprezzo, non dovesse fare i conti con le altrui reazioni, che non intercettasse tutti i conflitti grandi e piccoli che prendevano e perdevano vita intorno a lui.

Forse crescendo avrebbe perso quella facoltà. Ci contai.

- Non sono più tanto triste da quando state con me. -

Avrei potuto mentire, dirgli che non ero triste. Ma questo lo avrebbe turbato di più, perché Mattia non mi aveva chiesto se ero triste, bensì perché lo ero. Se avessi negato ciò che lui, giustamente, dava per certo, gli avrei fatto del male.

- Ma un pochino sei ancora triste. -

- Sta passando. -

- Speriamo. -

Sembrò assopirsi, ed ero quasi pronta a riportarlo nel suo letto, quando mi regalò un'altra perla, tanto semplice quanto efficace nel cementare l'eterno affetto che lega un genitore a un figlio.

- Ti voglio un sacco di bene infinito per sempre, mamma. -


SPAZIO AUTRICE

Lo so, non è successo nulla, niente stravolgimenti, niente novità, nessuna notizia. MA questa è la vita dei protagonisti in questo momento. Forse dovrei modificare il contenuto, o la forma.

I capitoli sono brevi proprio perché accade poco al di fuori, e poco anche dentro i personaggi, almeno in apparenza. Se viva, e ne avete uno... mi piacerebbe un parere MOLTO sincero e Molto spassionato.

Besos

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora