(Maia) Voglio altra cioccolata

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Dormimmo da me. Anzi, Marco dormì, io ci provai: non seppi se a tenermi sveglia fosse stato il mal di testa o il mal di schiena finché, poco dopo le 7, decisi di alzarmi. A quel punto non ebbi dubbi nell'individuare nel mal di schiena il colpevole.

Mi diressi silenziosamente in salotto, dove tentai un timido approccio con lo stretching, giusto per capire se il problema fosse muscolare.

Non capii un tubo se non che allenarsi, per quel giorno, sarebbe stato un mezzo suicidio.

- Sei mattiniera - mi salutò Marco, mentre cercavo ancora di alzarmi dal tappetino da fitness. Realizzai con immediatezza che la sua presenza mi era di conforto.

- Ciao doc. Vieni subito a baciarmi, che aspetti? -

Sorrise e appoggiò le labbra alle mie.

- Preparo il caffè?- mi chiese.

- Io ho voglia di cioccolata in tazza. -

- Viziata. -

Marco preparò sia il caffè che la cioccolata, e io non mi sentii in colpa. Mi piaceva vederlo a proprio agio in casa mia, nonostante dovesse aprire almeno tre sportelli prima di trovare quello che cercava. Per la prima volta la parola convivenza sfiorò i miei pensieri.

- Ci vuoi la panna montata? - mi chiese.

- Non ce l'ho. In effetti l'avrei voluta...-

- Sei senza ritegno, ragazzina. -

- Ci tufferò dentro i biscotti. Me li prendi? Sono nello sportello accanto al frigo. -

Scosse la testa divertito, ma li prese e ne mangiò uno anche lui.

- Stai davvero mangiando biscotti al cioccolato imbevuti di cioccolata calda? - mi chiese, osservandomi.

- Purtroppo sì. Avessi avuto la panna li avrei imbevuti anche con quella. -

Marco finì il caffè in fretta.

- Come stai, Maia? -

Ci riflettei qualche attimo.

- Penso che crollerei se non ci fossi tu a tenere insieme tutti i miei pezzi. Detesto trovarmi di nuovo in una situazione che mi ero ripromessa di non affrontare mai più. E invece eccomi, dopo due anni in cui ero certa di aver dimostrato a me stessa e al mondo che il mio valore non dipende da quello dell'uomo che mi sta accanto, a mettere in dubbio ogni mio dannato ruolo. -

Appoggiai la tazza quasi vuota al tavolo, e affrontai gli occhi grigi dell'unico uomo che sembrava avere l' ego più gonfio di quello di Ale.

Era questo, che volevo? Questo, che avevo cercato per due anni dopo la separazione? Un' altra ombra nella quale nascondermi? Magari più grande della precedente, così da fare marameo ad Ale? Fargli assaggiare un po' delle tante sconfitte di cui mi ero nutrita io? Ma non ero io ad averlo sconfitto. Era Marco.

- Ti senti così perché lui vuole che tu ti senta così. Smetti ti permetterglielo. -

- Ci ero riuscita, credo. Per due anni le sue frecciatine mi avevano irritata, ma non ferita. Sono regredita...-

- È colpa mia? -

- È colpa mia, anche se la tua presenza ha innescato il meccanismo. Non so quale. Nè come. Nè perché. -

- Cosa mi stai dicendo, Maia? -

- Sto solo ragionando sulla mia condizione emotiva...-

- Mi stai lasciando?-

- NO! No. Niente del genere. -

Marco si alzò, aggirando il tavolo e sedendosi accanto a me. Mi prese il viso tra le mani come faceva sempre, e come sempre in quel tocco mi sentii bene.

- Il meccanismo si è innescato perché lo ha scatenato lui. Lo ha scatenato perché ha realizzato che non eri più a sua disposizione, pronta per essere convinta che con lui saresti stata di nuovo felice. Per lui quei due anni di separazione erano una pausa, non pensava davvero che ti saresti ricostruita un'esistenza senza di lui o, peggio ancora, con qualcuno che non è lui. Quando la pausa ha assunto le sembianze di una potenziale sconfitta, ha aperto il fuoco su di te, Maia. -

- Ti offendi se ti dico che mi sembra tutto un po' troppo machiavellico? Doc, Ale è solo un uomo, fatico a pensare che possa mettere in atto tutto questo piano solo per riprendersi sua moglie. -

Lo vidi sorridere, e mi baciò sulla fronte.

- È solo un uomo. Lo hai detto, ora credici, Maia. E ti sembra machiavellico perché pensi a tutto questo come a un qualcosa di ragionato, ma non lo è. È solo una reazione naturale, istintiva, per uno come lui. Non si è messo davanti a una lavagna a illustrare la strategia. Ha solo reagito, senza ragionarci perché non ne aveva alcun bisogno: ti conosce. È stata una catena di reazioni, sia tue che sue. Niente di studiato. Ora, Maia, hai una visuale sufficientemente nitida di come funzionate voi due. Ora difenditi. Oppure attacca, se vuoi. Sei un'insicura patologica. Temi il giudizio degli altri. Ma sei una donna adulta: ti sono concessi i dubbi che fanno di te un essere umano che può migliorarsi, non ti è concesso invece il lasciarti costantemente mettere in discussione da lui. O da me. Devi essere lucida, ok? Io lo sono. Non puoi pensare che il modo in cui ti tratta possa influenzare ciò che penso io di te. Ma il modo in cui reagisci... questo sì, mi influenza, Maia. E se finora ho sorvolato, è perché ti amo. Ora, però, non ti concedo altro tempo. Lui ti ferisce perché ci sono io, e se tu continuerai a permetterglielo io me ne andrò. -

Non me lo aspettavo. Ero impreparata, ferita.

È ingiusto.

Perché mi fai questo?

Sapevo che poteva finire così...

Non espressi a voce nessuno di quei pensieri. Erano impulsivi, naturali. Istintivi. Come le reazioni scatenate da me e Ale.

- Hai capito, Maia? È chiaro? -

Aveva smesso di sorridere, ma sentivo ancora il calore delle sue mani sulle guance.

Avevo capito.

- È chiaro. -

- E cosa pensi di fare, in merito? -

- Così, su due piedi, avrei voglia di mandarvi a fare in culo tutti e due. -

- È un'ipotesi che sarebbe sbagliato scartare a priori, in effetti. -

Presi un respiro e liberai il viso dalla sua presa rassicurante.

- Sono stata alla larga da questa sensazione di opprimente inferiorità per due anni. Me la sono cavata bene, ero felice. Non avevo bisogno di nient'altro. Di nessun altro. Poi ti ho incontrato e... ti ho voluto. E dopo che ti ho voluto, ti ho avuto. E così... così la paura di perderti ha stanato la sensazione di inferiorità. È riaffiorato tutto, tutto quello che avevo lasciato a casa di Ale, tutto quel peso mi è tornato sulle spalle. Ma, credimi, è stato un processo lento, di cui non mi sono accorta...-

- Lo so. Lo so, Maia. Ma io non sono lui. Francamente, mi ferisce che la mia presenza gli abbia permesso di farti regredire così. Che tu gli abbia permesso questo. -

Presi un altro respiro profondo. Piantai gli occhi nei suoi. Mi sentii prima svuotata. Poi, di nuovo integra.

- Non glielo permetterò più. Non lo permetterò più a nessuno. So che posso, l'ho già fatto. Posso. -

- Bene. Di cosa hai voglia, adesso? -

- Di altra cioccolata. -

Inarcò le sopracciglia. Intuii che si era aspettato una risposta diversa. Ma io volevo altra cioccolata.



La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora