Il credito che ci danno

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Al termine della cena non mancò un po' di musica. Mi trattenni al tavolo ben oltre il tempo necessario a terminare il dessert, perchè era più quello che avevo bevuto che quello che avevo mangiato. Nathan e J erano già in pista insieme agli altri ballerini, Falchi si era congedato e più della metà degli invitati si era già diretta a casa. Marco Mancini era ancora seduto accanto a me, lo sguardo vigile. Non sembrava stanco, e non aveva nemmeno assaggiato il vino.

-Sei reperibile? - gli chiesi.

-A dire il vero no, il turno è coperto dalla dottoressa Michelini. -

-Quindi la scelta di non cedere all'alcol è dovuta a qualcos'altro? -

-Abitudine. Di solito non bevo prima del sabato. Pare che il venerdì sia la nottata statisticamente più gettonata per le emergenze pediatriche. -

-Peccato. Quel Pinot era proprio buono, sappilo. -

Mi fissò per qualche secondo mentre io cercavo di dissimulare la tensione che mi provocava l'avere i suoi occhi addosso stuzzicando il bicchiere vuoto.

-Non ho potuto non notare che hai apprezzato, in effetti. E' tutto ok?-

Oh Gesù, mi ha preso per un'alcolizzata.

In realtà non avevo avuto l'impressione di aver bevuto poi così tanto. Ed ero certa che se l'avessi fatto, J me lo avrebbe fatto notare.

-Oh...beh sì. Non mi gira la testa e non ho intenzione di vomitare di nuovo, te lo assicuro. -

-Quell'uomo, Falchi, ti ha messa a disagio. Mi riferivo a quello, non al vino. Anche io apprezzo le cose buone: non è certo un difetto. -

Senza un motivo valido, mi sentii avvampare. Mi morsi il labbro, e mi ritrovai nuovamente a fissare le sue braccia scoperte. Mi soffermai sul tatuaggio, e non provai nemmeno a dissimulare la mia curiosità mentre gli rispondevo senza più guardarlo negli occhi.

-Sì, ci ha fatto un sacco di proposte. Sai... cose di lavoro... -

Gli presi il braccio e me lo avvicinai al volto.

- "Non siamo ciò che diciamo, siamo il credito che ci danno" - lessi. Il tatuaggio era ben realizzato, con linee pulite e semplici, senza fronzoli.

-Anche a me piace Saramago - commentai sorridendogli. Senza togliere la mano dal suo braccio. Senza smettere di apprezzarne il calore. Senza smettere di desiderare di avere le sue mani sul mio corpo.

Sembrò stupito ma compiaciuto.

-A me piace il suo modo di pensare. Condivido molti suoi punti di vista. -

-A me piace il suo modo di scrivere, ma nutro più fiducia di lui nel genere umano. E riservo alla fede un ruolo diverso da quello che esponeva Saramago. -

Ci guardammo per qualche attimo. Non avevo mai creduto nel colpo di fulmine. Mi ero sempre figurata lo sbocciare di un amore come lo sbocciare di un fiore: lento, graduale, sensazionale nel raggiungimento del suo compimento nei tempi giusti. Anche con Ale ci era voluto tempo. Mi ero fatta corteggiare per mesi, anche perchè, francamente, ero ben lontana dal sentirmi innamorata. Probabilmente ero più lusingata dalle sue attenzioni che sinceramente attratta dalla sua personalità. Ma Ale non aveva ceduto di un millimetro, con delicatezza e galanteria si era avvicinato qualche centimetro in più ogni giorno, finchè mi ero lasciata andare. Trovai in lui un rifugio sicuro e comodo, un caldo giaciglio per le mie giornate peggiori. Non saprei dire dopo quanto tempo dal primo bacio mi scoprii innamorata, proprio perchè mancò il colpo di fulmine. Ma non mancò l'amore: quello arrivò, quatto quatto, senza togliermi il fiato e sorprendendomi con flotte di farfalle nello stomaco, ma cauto e discreto come il bacio che scocca una madre al figlio che dorme. E altrettanto dolce e sincero. Dove fosse finito quel sentimento non avrei saputo dirlo con certezza, ma non mi fu difficile supporre che quel bel chirurgo rigido e autoritario avesse collaborato nell'oscurare ulteriormente l'amore che avevo provato per Ale.

Ero attratta da lui, e non vedevo più un valido motivo per nasconderlo a me stessa. E, tutto sommato, ero disposta a ricevere un garbato rifiuto nel tentativo di scoprire se la mia ossessione per lui fosse in qualche modo ricambiata.

Mi morsi il labbro, nervosa, ma non interruppi il contatto tra la mia mano e il suo braccio. Abbassai lo sguardo sul tatuaggio per nascondere il lieve rossore che sentivo salire alle guance. Non era mia abitudine essere sfacciata e mai, mai in vita mia avevo corteggiato qualcuno. Non sapevo nemmeno da che parte iniziare anche se, forse, avevo già iniziato. E quella remota consapevolezza aveva probabilmente causato il colorito al viso che ora dovevo gestire in qualche modo. Perchè un garbato rifiuto potevo anche digerirlo. Una figura di merda no.

Spazio autrice

Beh insomma, io non amo neanche i garbati rifiuti. Nonostante questo, ho collezionato diverse figure di merda.
Che mi dite? Quante speranze ha Maia di infilare le mani nei boxer del primario? Perché ormai lo abbiamo capito che fa tanto la brava ragazza ma c'ha una voglia che si strapperebbe le mutande subito 🤣

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora