(Maia) Non hai un bell'aspetto

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Che la giornata non sarebbe stata delle migliori lo capii fin dal risveglio, quando l'altra metà del letto si palesò in tutta la sua vuota freddezza.

Mi aveva salutata, prima di andare via?

Cercai di soffiare via un po' della nebbia che avvolgeva i ricordi notturni. Ricordai solo il sesso. Ma furono ricordi decisamente nitidi.

Dopo la doccia e un'abbondante colazione scrissi a Falchi, e concordammo un appuntamento per quella sera.

La mattina mi sarei allenata, poi avrei studiato le coreografie per la dance battle insieme alla crew fino alle 16.30.

Rispettai i piani ma fu soprattutto una radiosa Jennyfer a prendere le redini degli allenamenti: io avevo sonno, un mal di testa infernale e una serie di dolori muscolari dall'origine sconosciuta.

Buttai giù una tachipirina a stomaco vuoto prima di andare a ritirare i bambini da scuola: affrontare il resto della giornata in quelle condizioni e con le due pesti da gestire sarebbe stato impossibile.

Ricordo che, appena giunti a casa tutti e tre, Lucas e Mattia iniziarono a bisticciare furiosamente reclamando la paternità della stessa carta Pokèmon.

- Ok, datemi quella carta, SUBITO! -

- Ma nooooo! -

Per Lucas non esisteva la parola no. Per lui esisteva la parola nooooo, come minimo. In occasioni particolarmente critiche le "o" potevano aumentare esponenzialmente, così come il suo tono di voce. Sospirai a occhi chiusi, cercando di convincermi che ero in condizioni di affrontare un semplice nooooo. Avevo affrontato molti nooooooooo in passato. Sì, potevo farcela. Me ne convinsi.

- Sì, invece. Ve la restituisco più tardi, quando sarete più calmi. Ora: Mattia, ripassa la tabellina del 7 nella tua cameretta. Quando ti sentirai sicuro chiamami e verrò a interrogarti. - Mattia sbuffò, ma trascinò i piedi fino allo zaino per obbedire prigramente al mio ordine. - Lucas, siediti in cucina e fai i compiti. -

- NOOOOOOOOO! -

Eccolo. L'urlo di guerra di Lucas. Mi trapanò il cervello e fu come se mi avesse piantato una scheggia di vetro in un occhio: il mal di testa esplose dietro le cornee, si allargò alle tempie, mi abbracciò la nuca e iniziò a prendermi a pugni la fronte da dentro il cranio.

Mi misi le mani nei capelli ed ebbi un attimo di autentica disperazione.

Volevo urlare, in condizioni normali lo avrei fatto. Ma se avessi urlato mi si sarebbe frantumato il teschio, come un vaso di cristallo esposto a un ultrasuono insostenibile.

Mi abbassai, presi Lucas per le spalle, senza stringere ma con fermezza. Parlai con il tono più autoritario di cui ero capace.

- Lucas, tu adesso vai in cucina e fai i compiti. Starai seduto composto, e terrai un atteggiamento adatto. Un altro urlo, un capriccio o un dispetto e prendo il tuo mazzo di carte Pokèmon e lo regalo a tuo fratello. Sono stata chiara? -

Lucas aggrottò la fronte, con un broncio che avrebbe spaventato anche il Grinch.

- Tutto il mazzo, gli regali? -

- Sì, Lucas. Tutto il mazzo. -

Ebbi l'impressione che le guance di mio figlio si gonfiassero nello sforzo di trattenere un altro urlo di guerra. Strinse i suoi piccoli pugni in cerca della disperata capacità di trattenere la sua infantile frustrazione.

Gli presi il viso tra le mani e mantenni il tono militaresco di prima.

- Devi riuscire a obbedire. Devi riuscire a fare la cosa giusta. -

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora