(Maia) Volevo sentirmelo dire

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Mi svegliai in preda ai brividi.

Marco era ancora lì, vigile, attento.

Mi coprì con la mia coperta di pile, ma il freddo mi nasceva da dentro, mi scorreva nelle vene e mi scuoteva la spina dorsale: la coperta non mi avrebbe offerto nessun riparo da quel tipo di freddo.

Marco mi appoggiò la mano sulla fronte e trovai stupefacente avvertirla così incredibilmente fresca. Come poteva l'uomo dalle mani più calde del mondo essere più freddo della donna cui il freddo scorreva nelle vene?

- Ho freddo. -

Ribadiamo il concetto.

- E' la febbre -mi disse.

Mi presi il tempo di studiare la sua espressione, tra un brivido e l'altro. La sua preoccupazione era priva di tensione: la sua serenità mi tranquillizzò.

- Ti attaccherò l'influenza. -

- Lavoro in ospedale. I bambini mi vomitano addosso un giorno sì e l'altro pure. Ho un sistema immunitario a prova di bomba. -

Mi accarezzò e smisi di chiedermi come potesse il suo tocco fresco offrirmi conforto mentre il freddo mi stritolava le ossa.

- Vorrei bere -

Marco prese un bicchiere e mi porse un cucchiaino che aveva riempito d'acqua.

- Due cucchiaini ogni dieci minuti, ok? -

Non risposi neanche, mi preoccupai solo di deglutire la mia dose senza affogare o mandarla di traverso.

Dopo qualche minuto mi parve che il freddo avesse raggiunto il suo apice; il che fu un bene, perché smisi di tremare.

- Cosa mi dovevi dire? - domandai.

- Hai letto i messaggi? -

- No. Ma vista l'insistenza, ho immaginato fosse importante. -

- Maia, ti ho tartassata di chiamate perché ero preoccupato dal tuo mutismo. Avevo ragione, a quanto pare. -

Sì, ma cosa mi dovevi dire, doc?

- Ma tu hai qualcosa da dirmi, vero? -

Non saprei dire nemmeno ora, a distanza di due anni, in quale momento di quella serata fosse cresciuta in me la certezza che fosse accaduto qualcosa. Forse quando, pur non del tutto lucida, avevo visto sul display le notifiche di quattro messaggi whatsapp di Marco, oltre che delle sue numerose chiamate. Marco mi scriveva regolarmente, ma un solo messaggio per volta. Magari lungo, ma uno solo. Ero io quella che separava i messaggi come fossero capitoli di un libro. Io. Non lui.

- Niente che non possa aspettare domani - rispose, esattamente come avevo fatto io con lui solo la sera prima. La sera prima, Cristo. Sembrava passata una settimana.

- Vai a casa, Marco. Domani hai delle vite da salvare. Io non morirò stanotte, spero. Dopo il lavoro mi racconterai. -

Marco mi posò un bacio sulla fronte. Ero sudata, stravolta, sporca. Avrei voluto avere la forza di farmi una doccia. Non avevo nemmeno la forza di alzare la testa dal divano.

- Non vado da nessuna parte, Maia. -

Non ebbi la decenza di trattenere un sorriso pregno di gratitudine. Era esattamente quello che desideravo sentirgli dire, ed ebbi giusto il tempo di vergognarmene prima di addormentarmi di nuovo, cullata dalle sue carezze tra i capelli spettinati e sporchi.

***

Quella notte sembrava non voler finire mai. Quando mi svegliai era ancora buio; dove si era nascosto il sole, quel giorno?

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora