(Maia) Certezze incrollabili.

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Al mio ritorno trovai la tavola apparecchiata, la cena pronta, i bambini lavati e impigiamati e Ale ad aspettarmi.

La sua solita efficienza, cui credevo di essermi abituata, mi procurò un'altra stretta allo stomaco: attesi che una parola, una frase, una smorfia o uno sguardo da parte sua facesse emergere il mio senso di colpa, stuzzicandolo con discrezione fino a farlo esplodere come un brufolo premestruale. In realtà non fece e non disse nulla, ed esplose solo la mia irritazione nei suoi confronti.

A conti fatti, quindi, non tolleravo le sue provocazioni ma non sopportavo nemmeno la sua accondiscendenza; mi vidi costretta a prendere inconsiderazione l'ipotesi di essere non solo inefficiente nella gestione del mio tempo in famiglia, ma anche un tutt'altro che raro esemplare di femmina stronza.

A conferma di quell'ultimo pensiero attraversai la zona giorno salutando i bambini ma non degnando di una parola il mio ex marito. Consapevole dell'assoluta immaturità di quell'atteggiamento, cercai conforto in una doccia esageratamente calda dalla quale non sarei mai voluta uscire. Alla fine ne uscii, senza aver trovato il conforto che avevo cercato.

Tornai in cucina coni capelli troppo umidi, i piedi scalzi e una tuta che ritenevo troppo consumata già alla fine degli anni 90.

I bambini avevano quasi terminato il pasto ma trovarono il tempo di narrarmi con dovizia di particolari la differenza tra le carte GX e quelle MegaX della serie dei Pokémon, senza per altro tralasciare l'importanza di possedere almeno una Energia Drago nel mazzo, soprattutto se si ha la fortuna di possedere la carta di Charizard.

- Mattia ha un sacco di carte GX, ma non me ne regala nemmeno una! -

- Perché nessuna è doppia, mi servono! -

- Le doppie le hai date ad Alberto...- piagnucolò Lucas.

- Sì, ma in cambio lui mi ha dato una carta coppia! -

Non avevo idea di cosa fosse una carta coppia e temetti che i bambini mi avrebbero intrattenuta sulle sue funzionalità, ma fortunatamente l'argomento si esaurì con l'arrivo in tavola della frutta.

I Pokémon erano una materia di studio davvero impegnativa e io, che già li conoscevo quando frequentavo le scuole medie, ero arrivata ad essere madre senza mai comprendere il motivo per cui tutti i Pokémon potevano evolversi tranne Pikachu.

Il lavaggio dei denti procurò qualche tensione: Lucas e Mattia eseguirono il compito controvoglia e solo a seguito di minacce che includevano le parole Lego, buttare e spazzatura nella stessa frase. In quest'ordine.

Quando infine si chetarono sul divano guardando i cartoni, io e Ale ci sedemmo di nuovo a tavola. Nessuno dei due aveva mangiato, e Ale impiattò carnee verdura anche per me.

Trovai la voglia di parlargli limitandomi a ringraziarlo per la cena.

Ero irritata dalla sua presenza e non riuscivo a liberarmi da quello stato d'animo.

Era ingiusto nei suoi confronti e non era davvero lui la causa dell'insorgenza delle mie nuove paturnie.

Cenammo in silenzio e mi sentii a disagio per tutto il tempo.

La successiva missione di messa a letto dei piccoli risultò come sempre una grande prova di forza per la mia pazienza, cosa che non contribuì affatto a un corretto allineamento dei miei chakra in vista dell'one to one con Ale.

Quando chiusi la porta della cameretta di Lucas e Mattia tornai in cucina.

Ale aveva iniziato a sparecchiare. Ale, durante il matrimonio, si era reso partecipe in varie mansioni domestiche; sapeva fare le lavatrici, ad esempio. Se la cavava bene anche nel piegare l'abbigliamento dei bambini dopo l'asciugatura. Era inoltre l'indiscusso addetto alla spazzatura differenziata. Ma se c'era una cosa che non aveva mai fatto era sparecchiare.

- Smettila - gli dissi, impilando i piatti in tavola di cui non si era ancora occupato.

- Volevo solo aiutarti. -

- E' troppo tardi -risposi di getto. Fu una risposta talmente crudele che ebbi la lucidità di pentirmene nonostante la mia sconfinata insofferenza di quella sera.

Negli attimi di silenzio che seguirono smisi di occuparmi dei piatti, appoggiai i palmi al tavolo e chiusi gli occhi contando fino a dieci. O forse fino a cinque. Probabilmente non andai oltre il tre, in effetti. Ma bastò.

- Scusa Ale. Non sono una buona compagnia stasera. Non è colpa tua. -

Sentii le sue braccia avvolgermi da dietro in un abbraccio intorno ai fianchi. Appoggiò il mento sulla mia spalla e il suo respiro mi scaldò il collo, umido per il contatto con i capelli non adeguatamente asciugati.

Sciogliermi a quel contatto così famigliare e accogliente mi venne naturale. Sentii la tensione abbandonare i muscoli e appoggiai la schiena al petto del mio ex marito. Lì trovai il conforto che avevo cercato invano sotto la doccia.

L'inconscio tentò di riportare alla luce l'acredine che avevo nutrito fino a pochi istanti prima nei confronti di Ale, se non altro con lo scopo di analizzarne l'origine, dato che era bastato un suo misero tocco per trasformare la tigre in criceto. Ma l'inconscio si arrese a un'improvvisa stanchezza e seppellii qualunque volontà di approfondimento sotto un metro di pigrizia fisica ed emotiva.

Il fiato caldo di Ale fu sostituito da una catena di baci leggeri sulla curva tra spalla e collo. Mi prese il viso tra le mani facendomi voltare verso di lui e fu in quel momento che colsi la situazione in tutta la sua perversa chiarezza: Ale era la persona sbagliata nel momento giusto, e ne stavo abusando.

Con tutta la delicatezza di cui ero capace liberai le guance dalle sue carezze. Poi fui io a prendere il suo volto tra le mani. Mi alzai in punta di piedi per lasciargli un bacio sulla fronte, carico di tutto l'affetto di cui disponevo per lui, per tutto quello che era stato e per tutto il buono che mi aveva lasciato.

- È meglio se ora vai - gli bisbigliai, sperando fosse in grado di cogliere la mia riconoscenza nel sorriso che finalmente gli dedicavo con sincero trasporto.

Ale mi guardò per un paio di secondi. Non seppi mai cosa cercasse nel mio sguardo, né cosa credesse di aver visto. Anche lui mi posò le labbra sulla fronte, ma il suo fu un bacio prolungato, il bacio di un uomo che non avrebbe voluto lasciarmi andare. Tornò a guardarmi con l'ombra dello sconforto che però non lasciò spazio alla rassegnazione nella voce:

- Sono abbastanza innamorato di te da lasciarti credere ancora per un po' che questa stronzata con il chirurgo possa funzionare. -

Rimasi abbastanza di stucco da vederlo vestirsi e uscire da casa mia senza che fossi in grado di rispondere alcunché.

***

Prima di andare aletto presi in mano il cellulare. Marco mi aveva risposto.

Anche un uomo di scienza come me si deve arrendere alla capacità delle persone di spettacolo di sovvertire piacevolmente le regole. Ti fai ingabbiare da un numero, Maia? Perché la tua età non è altro che questo: un numero. Tu sei spettacolo. Adatta i criteri della danza al tuo corpo, anziché cercare di fare il contrario. Ma sono cose che stai già mettendo in pratica senza nemmeno rendertene conto, probabilmente.

PS

Domani sono di ritorno a mezzogiorno. Dimmi a che ora posso vederti.

Ed era tutto vero. Lo stavo già facendo, con J. E avremmo continuato a farlo. E quando qualcosa ci fosse diventato impossibile, lo avremmo sostituito con qualcos'altro. Qualcosa di diverso, non per questo qualcosa di meno.

C'era un altro messaggio. Esitai prima di leggerlo: era di Ale. Vinse la curiosità.

Nessuna può sostituirti, per quanto qualcuna ci abbia provato. Ho l'incrollabile certezza che la cosa sia reciproca. Ti aspetterò, magari con maggior discrezione. Promesso.

Ale aveva solo certezze incrollabili, tipiche degli uomini di scienza. Uomini che, più di una volta nel corso della storia, erano stati smentiti.



La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora