(Marco) Sistemi solari diversi

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Maia e Jennyfer abbandonarono la pista non appena ci videro lasciare il tavolo. Vidi i tre idioti prepararsi a fare altrettanto, seguendole, ma si fermarono quando si resero conto che le ragazze venivano da me e Christian. Quando ebbi Maia a portata di bocca la baciai sulla fronte scoccando un'occhiata di scherno ai tre stronzi. Uno alzò il medio. La sua stizza non fece che alimentare il mio antagonismo nei loro confronti e avvolsi Maia in un abbraccio più infuocato che caloroso. Diciamo pure che le palpai il culo per marcare meglio il territorio. Un gesto poco elegante, lo so. Me ne sono già fatto una ragione da un pezzo.

Maia mi schiaffeggiò la mano, più divertita che indignata.

- Ehi, doc, questi sono atti osceni! -

E con questa frase sancimmo la fine della serata, si era fatto tardi: io e Christian pagammo il conto tra le proteste delle ragazze. Fu Christian ad accompagnare a casa Jennyfer: quando salirono in macchina sentii Maia sospirare sonoramente.

La guardai e la sua espressione tradiva, come sempre, un certo ottimismo che poco aveva a che vedere con quanto stava per dire.

- Quei due combineranno guai. -

- Oh sì. Non so se sono più spaventato all'idea di restarne coinvolto o più curioso all'idea di vedere cosa s'inventano con i fuochi d'artificio di cui dispongono. -

Maia mi prese per mano. Era fredda.

- Vieni da me? -Le chiesi.

- Mi piacerebbe, ma stavolta non ho lo zainetto di star wars con il kit di sopravvivenza.-

- Ti presto una tuta. -

Rise.

- E mi presti anche la lozione struccante? -

- Potrei stupirti! -

Mi posò un bacio leggero come cotone sulla bocca.

- Dovresti stupirmi anche offrendomi della biancheria pulita da donna, doc. E non sono sicura di voler sapere se ne disponi. -

Le posai decine di baci sulla bocca, senza dubbio meno leggeri del cotone.

- Stai con me ancora un po' - dissi. Non era una domanda.

La sua mano si stava scaldando nella mia, sentivo il suo corpo tremare leggermente.

- Stai tu con me, doc - mi propose. - Prendi il tuo kit di sopravvivenza e portami a casa. Resti da me solo finché puoi o finché lo desideri. -

Sì, si poteva fare. Ma non appena salimmo da me per consentire a lei di scaldarsi e a me di cambiarmi gli abiti, mi chiesi se avrei avuto la forza di volontà di uscire da quella casa senza toglierle l'abito e fare l'amore con lei fino all'alba.

***

L'inamovibilità di Maia venne incontro alla mia forza di volontà: arrivammo a casa sua senza che lei mi consentisse di sfilarle il vestito.

Entrando, riscoprii il significato della parola "casa".

"Casa" è il luogo in cui a volte ritrovi la pace, quello in cui altre volte hai affrontato più di qualche esaurimento nervoso, quello in cui vuoi sempre e comunque tornare perché parla di te, della tua vita e di come la affronti. "Casa" è qualcosa cui spesso altri hanno dato forma, ma cui tu hai dato vita.

Io non avevo una Casa. Io vivevo in un posto.

Casa di Maia era la perfetta trasposizione della sua personalità.

Non era particolarmente in disordine, ma c'erano cose fuori posto. Eppure, ciò che era fuori posto aveva una funzione tale per cui fa comodo averle sempre a portata di mano. Quello di Maia era un disordine controllato, quasi funzionale.

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora