(Maia) Non c'è niente da dire

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Il 27 dicembre mi alzai fiduciosa. I bambini, ancora saturi dell'adrenalina scatenata dal Natale, erano tanto indisciplinati quanto felici. Ale non mi avrebbe potuto tenere Mattia e Lucas, e fu J a occuparsi di loro.

- Bianca me la mena da due giorni che vuole stare con loro, quindi non preoccuparti, hanno abbastanza giocattoli nuovi da tenere la noia lontana per parecchie ore. Sarà come non averli. -

Mentiva, ovviamente: lo sanno tutti che durante le vacanze di Natale, al lordo di regali e zucchero in eccesso, tre bambini sono più impegnativi di un'avaria al motore mentre si sorvola un vulcano in eruzione.

Ma le fui grata ed entrambe eravamo consapevoli che nel nostro rapporto non si tenevano i conti: nessuna di noi aveva debiti o crediti con l'altra.

Arrivai in ospedale alle 11, parcheggiando a non meno di due anni luce dall'entrata.

Avevo imparato a orientarmi bene nel parcheggio dopo il ricovero di Lucas e i follow up che in quei mesi non erano mancati, ma non ero certa di riuscire a raggiungere il reparto di ortopedia senza intoppi.

Evidentemente non ero l'unica a covare quel dubbio: trovai Marco, sigaretta in bocca, accanto alle porte scorrevoli dell'atrio.

- Cosa diavolo stai facendo? -

- Ti sto aspettando e anche io sono contento di vederti in questa gelida mattina di nebbioso dicembre. -

Non lo vedevo con il camice dell'ospedale addosso dalla dimissione di Lucas: i follow up erano di competenza dei suoi colleghi. Mi fece uno strano effetto ritrovarlo con la sua divisa: l'armatura con cui aveva salvato mio figlio e i figli di molti altri. Ricordai di quella sindrome dell'eroe diagnosticata da J in tempi non sospetti. La mia forse era ad uno stadio avanzato: me lo sarei limonato lì davanti a tutti: pazienti parenti colleghi e passanti.

- Mi riferivo a quella - dissi, indicando la sigaretta.

Marco abbassò lo sguardo quasi stupito, come se gli fosse comparsa tra le dita per magia.

- Mi aiuta a pensare, ma ne faccio un uso moderato e solo quando la giornata si prospetta complessa. -

- Mi devo preoccupare, doc? Tutto bene? -

- Tutto bene. -

- A cosa devi pensare di così fastidioso, oggi? -

Gettò a terra la sigaretta, fumata per metà, e la calpestò. Mi appoggiò sulle labbra un bacio gelido, che mi scaldò lo stesso.

- Alle implicazioni di un'asportazione in laparoscopia rispetto all'apertura dell'addome in un caso di tumore intestinale infantile. Preferirei la laparo, che comporta meno rischi anche nel post operatorio, ma l'apertura mi consentirebbe una visuale migliore della situazione. -

- E quale soluzione ti ha suggerito la nicotina? -

- Nessuna, ma mi ha fornito la scusa ideale per aspettarti qua fuori. -

Avete presente la sensazione di gratificante calore e incondizionata gratitudine cui si abbandona il corpo mentre si adagia in una vasca piena di sali profumati e acqua calda dopo una giornata di merda?

Ecco, mi sentii così, pur non avendo nemmeno una giornata di merda da smaltire. A volte si può essere felici anche senza dover strappare a morsi la gioia di vivere dai nostri peggiori ricordi.

- Ti ammalerai -gli dissi, togliendomi la sciarpa e avvolgendola intorno alla sua gola oscenamente scoperta ed esposta all'inverno.

- Io non mi ammalo mai, ragazzina. -

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora