(Marco) Il dubbio che possa funzionare

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La trovai bellissima mentre si torturava il labbro tra i denti, come sempre. Avevo pensato fosse uno spettacolo della natura anche in ospedale, la notte dell'intervento, nonostante gli occhi gonfi di pianto, rossi di stanchezza, lucidi per la preoccupazione. E avevo continuato a pensare a quanto fossero deliziosi i suoi fianchi stretti, e invitanti le sue gambe slanciate ogni ora di ogni giorno in cui l'avevo avuta davanti agli occhi durante il ricovero di Lucas. Quando il bambino fu dimesso ne fui sollevato; non solo perché ero riuscito a salvarlo, sapevo che lo avrei fatto nel momento in cui avevo iniziato a liberare il suo intestino dalle aderenze che avevano causato l'occlusione, ma soprattutto perché non l'avrei più rivista. Non avevo tempo di impegnarmi in una relazione, e Maia non sembrava una donna disposta a raccattare solo le briciole di un uomo. Ma io non avevo altro da offrire a parte, appunto, qualche avanzo.

La parte più importante di me si esprimeva in quello che ero, e sono tutt'oggi, in grado di fare con un bisturi in mano. Tolto quello, di me restava solo un uomo disposto a spogliare una donna e prendere quel che c'è per poi andarsene senza guardarsi indietro. E senza tornare indietro.

Eppure in quel momento, nell'avvertire quel delizioso formicolio provocato dal tocco della sua mano sul mio braccio, non potevo non prendere in considerazione l'ipotesi di scoprire quali altri piaceri avrebbe potuto regalarmi.

Non potevo non notare che era ancora troppo magra, che non aveva mangiato a sufficienza e che sotto il trucco nascondeva due occhiaie scure. Quella donna non si era ancora ripresa del tutto da quanto accaduto al figlio, e io non ero così figlio di puttana da approfittarne. Però avrei voluto. Lo avrei voluto eccome.

Probabilmente sarei andato a segno: lo vedevo da come mi guardava.

Ma abbiamo appena detto che non ero così figlio di puttana, giusto?

Sì, lo abbiamo detto.

Cazzo, però...

-Anche tu ne hai uno - le dissi, interrompendo il silenzio e indicando con il mento il mio tatuaggio. Ma Maia aveva ancora il volto abbassato e non colse il mio gesto. Quando rialzò lo sguardo aveva la fronte corrugata e un'espressione dubbiosa.

-Anche tu hai un tatuaggio, sulla schiena. Ma ero troppo lontano dal palco per capire di cosa si tratta. -

La vidi aprirsi in un sorriso che arriva agli occhi. Ha ancora lo stesso sorriso quando parla di danza e di alcuni libri.

-Sì, io lo adoro. Sei mesi di lista d'attesa, ma sono andata da un tatuatore davvero bravo, su a Milano. Un male cane, comunque. -

-E cosa ti sei tatuata? -

La sua mano abbandonò il mio braccio e si tuffò nella borsetta.

-Faccio prima a mostrartelo - rispose, e per una frazione di secondo mi illusi che la sua fosse una velata proposta per una notte priva di vestiti. Chiaramente non era così: estrasse dalla borsa il cellulare, digitando e scorrendo con le dita sul piccolo monitor. Quando mi mostrò il display sentii una certa tensione nei boxer. A quel punto avrei voluto essere un grandissimo figlio di puttana e farle tutto quello che mi stava passando per la testa. Anche lì, tra i tavoli, tra la gente.

Mi mostrò l'immagine della sua schiena sottile e potei apprezzare la curva perfetta dei suoi fianchi e due fossette appena sopra quella che sembrava proprio la curva dei glutei. Era solo un accenno, ma Cristo, mi era già andato in pappa il cervello.

Sono fatto di carne, cazzo!

-Ci capisci qualcosa? - mi chiese. E mi rammentai in quell'istante che non era certo il suo corpo, che mi voleva mostrare, ma il tatuaggio in bianco e nero che seguiva la linea del suo fianco sinistro.

-Non molto, a dire la verità - confessai.

Non capisco più niente, Maia, porca puttana!

- Te lo ingrandisco... -

Sì, toglimi da sotto gli occhi quelle fossette in cui vorrei affondare la lingua, per Dio!

Il disegno era ben realizzato, conteneva diversi elementi, ma non avrei saputo dargli un significato.

- Un lampione? - chiesi, perché fu il primo elemento che riconobbi.

- Narnia. -

Non sapevo di cosa diavolo stesse parlando e scossi la testa.

- Hai mai letto Le cronache di Narnia? -

- Decisamente no. - Le presi il cellulare dalle mani e studiai meglio la foto. Ai piedi del lampione era disegnata un pila di libri, sulla quale stava seduto un folletto che leggeva un grosso volume. Al lampione erano appesi alcuni cartelli in legno. Su uno vidi la scritta "Neverwhere", su un altro "Derry" e sul terzo "Neverland".

-Deduco che ti piace leggere. Ma non vado oltre, mi spiace. Non sono un buon lettore. -

-Ma ti piace Saramago. -

-Sì, ma non leggo un romanzo da quando ho finito la specializzazione. I miei scaffali accolgono principalmente manuali di medicina. -

Mi dedicò un sorriso e le restituii il cellulare.

-C'è davvero così poco tempo per lo svago, nella tua vita, doc? -

Il suo sguardo malizioso non sgretolò la mia di rigida compostezza solo grazie alla presenza di altra gente nella stanza.

-Mi dedico allo svago solo nei ritagli di tempo. E di solito sono svaghi passeggeri. Molto passeggeri. -

La vidi deglutire senza scomporsi, ma il suo sguardo si spense un po'.

Me ne dispiacqui, ovviamente. Ma era meglio chiarire subito come stavano le cose. Non ero bravo a riparare cuori infranti e stavo ancora raccattando i pezzi di quello della mia ex moglie.

-Capisco, sei un uomo tutto d'un pezzo. Quindi non ti chiedo nemmeno se hai intenzione di svagarti ballando un po' - mi rispose, alzandosi. - E comunque, doc, potresti valorizzare i tuoi ritagli di tempo con esperienze passeggere ma almeno degne di essere vissute prima di essere dimenticate. -

Era un sorriso solare ma solcato di stanchezza quello che mi dedicò prima di voltarsi e incamminarsi verso le sue amiche, senza lasciarmi il tempo di decidere se era il caso di dare una risposta alle sue provocazioni.

Già allora ero un uomo adulto nella misura in cui Maia era una donna perfettamente in grado di badare a sé stessa, e il suo invito affatto velato a sentirmi libero di prenderla per un paio di notti e dimenticarla per il resto della vita incontrò il favore del mio corpo che reagì con un'erezione quasi istantanea. A opporre resistenza era una sensazione sbiadita, che non riuscii del tutto a mettere a fuoco. Un dubbio, forse.

Il dubbio che tra noi due potesse funzionare.

Spazio autrice

Marco! Quindi anche tu hai una coscienza. E anche altre qualità che a quanto pare cercano di farsi largo nei tuoi jeans. Beh insomma... Dite che il dubbio che possa funzionare è lecito?

La sindrome dell'eroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora