Epilogo

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Dublino, 30 giugno 1801

Il dormitorio comune della Casa di Carità delle Sorelle del Sacro Cuore di Gesù portava l'odore dei molti pasti che erano stati serviti agli altrettanti malati che erano stipati in quel lungo salone dai soffitti alti con slanciate finestre opache a illuminarne gli interni.

Ross aveva osservato per quelli che gli erano parsi anni i profili frastagliati delle case di Dublino e il nodoso ontano nel cortile lì davanti che allungava le sue fronde verdeggianti contro lo sfondo del cielo mutevole. Si sarebbe portato per tutta la vita il ricordo di quelle foglie larghe e lucenti che parevano brillare come magicamente anche dopo che chiudeva gli occhi, forse per effetto del laudano che distorceva quello che lo circondava, pur se non poteva certo lamentarsi di ciò. Sorella Esther glielo somministrava con cura appena usciva da quel torpore annebbiato che gli permetteva di non prendere coscienza della sua attuale situazione, in particolare il ginocchio destro.

Ah, come voleva bene a Sorella Esther!

Mica come Sorella Mercy, che con le sue manone da pescivendola arrivava e, brusca, si metteva a trafficare con tutte le sue parti più doloranti, premendo lungo la tempia con dita ruvide e tozze con il chiaro intento di fargli esplodere il cervello, non aveva trovato altra possibile motivazione per quei modi tanto duri. Quando poi arrivava al maledetto ginocchio, non riusciva a trattenersi dal gridare, il dolore era forte come se gli stessero provando a staccare la carne dall'osso, così giungeva la cara Sorella Esther a mettere fine a quella sua sudata agonia con un quantitativo tale di laudano da stordire una mandria intera di vacche, quelle che tanto amava sua moglie...

Hazel. Si era trovato a ripetere quel nome più volte, lasciandosi cullare dolcemente fino all'incoscienza come da un caldo abbraccio rassicurante. Spesso aveva avuto la sensazione delle sue piccole mani meticolose che lo percorrevano con struggente lentezza, la voce bassa e intima all'orecchio che mormorava parole incomprensibili, ma con quel tono tenero che gli faceva capire stesse dicendo solo cose piacevoli. Ora che non prendeva laudano da un tempo più lungo di cinque ore, capiva che in realtà i borbottii che risuonavano erano gli altri pazienti dai letti accanto al proprio che sospiravano, piangevano o parlavano da soli, ognuno perso nella propria bolla di dolore.

Con una mano si toccò cauto il capo per l'ennesima volta, non riuscendo ad abituarsi a quella testona senza più i folti capelli: Haze avrebbe potuto finalmente dire che adesso si era trasformato in una vera zucca vuota. Avrebbero riso assieme, l'avrebbe abbracciata.

Cristo, che voglia di stringerla forte a sé.

«Le tue cose» gli fece Sorella Grace, in una smorfia che doveva essere un sorriso in quel volto brutto come il culo di una gallina, posandogli i propri vestiti accanto sul materasso, ora lavati da tutto il sangue di cui erano stati precedentemente lordati. «E vedi di non farti conciare più così, la prossima volta potresti non essere altrettanto fortunato che ti troviamo per strada in tempo per medicarti, aye?»

«Lo terrò presente, sorella.»

La voce gli uscì rauca dopo tanto tempo a non usarla, e per un attimo venne colto da un giramento mentre cercava di infilarsi da solo i pantaloni.

Quella schioccò seccata la lingua, poi si chinò e lo aiutò con mano esperta, il velo scuro che ricadeva in avanti a nasconderle parte del gibboso naso coronato da un'enorme verruca pelosa mentre il suo forte odore di cavolo bollito investì le narici dello scozzese. «Dovrai usare queste per muoverti. Gentile donazione della sottoscritta, per inciso.» Si era nuovamente drizzata spingendo indietro le spalle ossute e indicando orgogliosa due grucce in legno che riposavano ai suoi piedi.

Of Seamen and Maidens - VECCHI FANTASMI E CIELI OMBROSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora