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Dublino, 30 giugno 1801

«Hey, tu! Fa' attenzione, maledizione!» Un uomo a cui mancavano entrambi i denti davanti sbottò spintonando James, che aveva inavvertitamente urtato il proprio boccale – rabboccato dall'oste un numero di volte di cui aveva perso il conto – rovesciandone il contenuto sulla giacca già logora e sudicia dell'avventore accanto a lui. Coi sensi annebbiati dall'alcol trovò a malapena la forza di rivolgere un'occhiataccia allo sconosciuto che si congelò e sparì in un battibaleno nel momento in cui Lockhart sfoderò l'uncino per fare cenno al locandiere di portargli dell'altra birra.

Erano vari giorni che Ms Miller non tornava al MacKenzie's, ma non aveva mai mancato di scrivere per avvertire che sarebbe rimasta fuori e che stava bene, la cosa lo aveva agitato comunque: se le fosse successo qualcosa? Come poteva controllare che non le stesse accadendo niente di grave? Sapeva però bene che la moglie di MacLeod aveva la testa sulle spalle e non si sarebbe messa inutilmente nei guai; sospettava che ora, nonostante la disperazione provata nell'apprendere della dipartita del marito, non si sarebbe arresa tanto facilmente, andando in giro setacciando la città per scovare tracce dello scozzese. E chi era lui per impedirle di fare quello che egli stesso stava facendo da anni, cioè cercare suo fratello morto con la folle convinzione che fosse ancora vivo? Conosceva sulla propria pelle la sensazione di desolante impotenza quando si smetteva di sperare di ritrovare una persona amata. Da un certo punto di vista, ora che si era rimesso sulle tracce di Sammy era come se una vecchia scintilla ormai dimenticata si fosse riaccesa in lui.

C'era però una ragione più meschina per la quale l'assenza di Ms Miller gli pesava come un macigno sul petto, ossia che il costante pensiero di dover badare a lei lo aveva tenuto al salvo dall'impazzire al ricordo di sua moglie. E, una volta lasciato solo a se stesso, gli ci era voluto davvero poco per crollare come un castello di sabbia.

Uno stupido venditore di fiori, quello gli era bastato: gli si era piazzato davanti con il suo carretto sgangherato, sventolando fiero la fragile e colorata mercanzia, e lui aveva sentito il mondo franargli addosso in un battito di ciglia.

Deirdre aveva sempre amato i fiori in generale, ma le giunchiglie avevano un posto speciale: nonna Aislin la portava a raccoglierne per decorare la casa per donarle un tocco di luce in più, questo glielo aveva raccontato con sguardo tenero e un sorriso dolceamaro; così, quando ne trovava in giro, ne coglieva sempre una e se la infilava tra i capelli o l'appuntava vicino al cuore, pegno fragrante alla sua memoria, fino a quando era lui stesso a dovergliela togliere, ormai sgualcita e appassita, tra le sue risate divertite. James non avrebbe più riso assieme a lei né avrebbe comprato giunchiglie per strapparle un sorriso felice, sistemandole dietro l'orecchio uno di quegli effimeri fiori che fino a poco tempo prima non erano nulla per lui e che ora sembravano racchiudere il significato di tutto quello che più contasse.

Aveva superato quell'inutile venditore di narcisi e aveva vagato senza meta per le stradine, scontrandosi con gente che lo aveva guardato con aria contrariata, cosa ne potevano sapere loro! Quelle giunchiglie erano state il suo vaso di Pandora e, dopo aver tenuto lontano più che poteva il fantasma del suo ricordo, ora vedeva Deirdre ovunque: nelle forme generose di una signora che contrattava per il prezzo del pesce, nel suonatore di fiddle in mezzo a una piazzetta, nei capelli lunghi e mossi della giovane fanciulla che faceva gli occhi dolci a un panettiere.

Era davvero troppo.

Si era fermato in mezzo alla folla afferrandosi la testa come impazzito, voleva un po' di silenzio, voleva indietro la sua vecchia vita, voleva sua moglie. Sentendo di non riuscire quasi a respirare, aveva brancolato verso quella che aveva tutta l'aria di una bettola piccola e maleodorante e, giunto al bancone, aveva chiesto da bere, ma una volta arrivata la pinta era rimasto parecchio a fissare lo scuro boccale in peltro con gli occhi sgranati, come se da un momento all'altro avesse potuto iniziare a parlargli e confortarlo. Lui però non si meritava alcun conforto, si era premurato di ricordarsi duramente. Se stai così è perché te lo sei meritato.

E aveva iniziato a bere.

Beveva per dimenticare il sorriso di Deirdre, il peso del suo corpo contro il proprio, il calore della sua lingua sulla pelle, la morbidezza di quelle labbra contro la bocca...

C'era così tanto da dover dimenticare che si era chiesto come avrebbe anche solo potuto iniziare a farlo, la fronte che picchiava piano contro il bancone scuro e appiccicoso con tonfi sommessi. Magari fosse riuscito ad annebbiarsi con l'alcol quel tanto per scordare anche solo il riflesso mogano dei suoi capelli quando il sole caraibico li baciava, facendoli scintillare come una cascata calda, eppure il suo cervello si rifiutava di lasciar andare foss'anche il minimo dettaglio, scavandolo nella propria carne viva per imprimerselo meglio e soffrire come si meritava.

Gli mancavano quegli occhi color dell'argento che lo guardavano con un guizzo malizioso e complice mentre i suoi polpastrelli gli sfioravano la pelle accaldata del petto prima di sbottonargli la camicia e fare l'amore con lui. Gli mancava la sua ragazza irlandese che lo chiamava per nome, che fosse un rimbecco per una battutina che non l'aveva fatta ridere o un sussurro roco di piacere contro l'orecchio. Si struggeva al pensiero che al ritorno nella loro casa a Kingston non avrebbe più udito le note sempre più rapide e incalzanti di un reel suonato da lei col fiddle. Avrebbe dato la sua dannata anima pur di riascoltarla un'ultima volta e posare i suoi occhi stanchi alla fine di una lunga giornata sulla grossa morbida figura della moglie che si alzava e si abbassava lentamente mentre dormiva, per poi stendersi accanto a lei, con la certezza che non vi fosse porto più sicuro dei sentimenti che li legavano, dove rifugiarsi nei momenti più oscuri e difficili.

«Maledizione, ragazza irlandese!» sbottò James mentre due grosse lacrime colme di una disperazione quasi rabbiosa gli scendevano lungo le guance magre e ispide, la barba ormai incolta da tempo, non ricordava più l'ultima volta in cui aveva sfiorato un rasoio, né tantomeno da quando non si cambiava di vestiti, figurarsi da quanto non facesse un bagno degno di questo nome.

Sbatté il pugno sul bancone scuro e appiccicoso e urtò il proprio boccale che vacillò di nuovo. Avvertì la presenza furtiva di qualcuno al suo fianco che allungava una mano e istintivamente gli artigliò il polso con l'uncino. L'altro, però, con i riflessi pronti quanto quelli di Lockhart, era comunque riuscito a evitare che il bicchiere si rovesciasse.

«Attenzione, capitano.»

All'udire quella voce, la nebbia nella mente di James si diradò un pochino, anche se rimase perplesso e confuso mentre si voltava e fronteggiava chi aveva parlato.

Osservando quel volto tanto diverso dal ricordo dell'ultima volta in cui l'aveva visto, un giorno che ormai sembrava appartenere a un'altra vita, si rese conto che gli occhi chiari erano l'unico dettaglio a rendergli riconoscibile l'uomo che gli stava davanti. Quest'ultimo non smetteva di scrutarlo con espressione indecifrabile da sotto le sopracciglia folte, come se pure lui stesso non potesse credere di essersi finalmente imbattuto nel Capitano James Lockhart.

Era paradossale che lui lo avesse trovato nel momento in cui aveva smesso di cercarlo.

Lockhart tentò di alzarsi in piedi con poco successo, barcollando talmente pericolosamente da rischiare di cadere lungo disteso sul pavimento sudicio del pub, e biascicò: «Non può essere...»

*N.d.A.*

Buongiorno!

In questo capitolo James ha un vero e proprio crollo emotivo al ricordo della sua ragazza irlandese. Mentre è sconvolto dal dolore e intontito dall'alcol, viene raggiunto da qualcuno di misterioso e inaspettato. Chi sarà mai?

Grazie a chi continua a leggere e commentare, alla prossima!

CC


Of Seamen and Maidens - VECCHI FANTASMI E CIELI OMBROSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora