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An Caorán, 21 giugno 1801

Ci impiegarono quasi un'ora per arrivare a passo sostenuto nell'umile capanna di Peter Donnelly, mentre il sole già si alzava caldo e impietoso sopra le loro teste, passando attraverso dolci pendii smeraldo disseminati di nigella blu e viola, fata di lino e margherite candide; le grida di Ciara si udivano però fin dal sentiero, tanto che la giovane O'Kelly sbiancò, ma prima che potesse anche solo pensare di proporsi di entrare con il dottore, Evans si voltò per fronteggiarla nel momento di varcare la soglia della capanna.

«Devo chiedervi di entrare con me, avrò bisogno di tutto il vostro aiuto» le fece con espressione seria e con un cenno del capo la esortò a seguirlo dietro al povero marito che era corso in casa al capezzale della gestante, con le lacrime agli occhi per la disperazione.

Lea annuì, sentendo il petto arderle al suo sguardo d'approvazione, e decisa gli andò dietro.

Impiegarono l'intera mattinata e buona parte del pomeriggio ad accudire Ciara Donnelly tra lenzuola lordate di sangue, catini d'acqua bollente e olio di mandorle che Evans aveva estratto dal suo incredibile borsone, per poi arrivare alle sei e mezza di sera con la neomamma stesa tra le coperte sgualcite con un fagottino rosso in braccio.

«Chiameremo il piccolo Gabriel, in vostro onore» farfugliò Peter senza staccarsi dal capezzale della moglie ma Gabe alzò le mani in segno di protesta.

«Non dovete certo preoccuparvi, ve ne prego, se preferiste piuttosto...»

«Aye, ci farebbe piacere, dottore» si aggiunse Ciara con la voce arrochita dalle numerose grida che aveva gettato senza fare sconti quando Evans le aveva massaggiato il pancione per far girare il bambino, spingendo con decisione le forti dita sulle pareti ancora molli dell'utero per raddrizzarlo dopo una serie di numerosi e faticosi tentativi per metterlo nella giusta posizione. «Lea, restate qui per mangiare un boccone, aye? Almeno un pasto caldo riusciamo ancora a offrirvelo.»

La giovane O'Kelly era stravolta pure lei e il suo viso tradiva tutta la stanchezza della lunga giornata, ma quel piccolo porcellino rosso e sporco che era sgusciato tra le gambe cosparse di olio di Ciara Donnelly ora stava tra le braccia protettive della madre che sorrideva, orgogliosa e soddisfatta, e le parve non ci fosse visione più appagante di quella per ricompensarla di tutte le fatiche. «Grazie, ma noi, ecco, il dottore dovrebbe...»

«Accettiamo volentieri» la interruppe Evans mentre finiva di lavarsi le mani in un catino d'acqua pulita, rivolgendo un largo sorriso ai Donnelly. «Ms Lea, siete stravolta, vi siete appena rimessa e non potete strapazzarvi troppo» le aveva detto serio più tardi dopo aver mangiucchiato pane e formaggio offerto dal buon Peter, il tutto innaffiato da del sidro stappato apposta per festeggiare l'arrivo del piccolo Gabriel Peter Donnelly.

Seduta sul prato fresco di rugiada poco fuori il paesino, Lea allungò le braccia per stiracchiarsi, avvertendo tutti i muscoli indolenziti, soprattutto dove la partoriente l'aveva stretta in preda alle contrazioni, lasciandole grossi segni rossi e qualche graffio qui e là. «Siete stato incredibile con la povera Ciara, avevate pure capito che il bambino era al rovescio» decise di cambiare argomento, intimamente soddisfatta di poter passare ancora un altro giorno con lui. Si lasciò cadere all'indietro tra l'erba alta e guardò la volta stellata sopra di sé, godendosi la frescura della notte e quel lieve senso d'ebbrezza che il sidro le aveva dato, facendole vorticare la testa in piacevoli giravolte languide.

Il gallese prese un lungo stelo verde e se lo portò alla bocca prima di imitarla, incrociando le braccia dietro la testa ed emettendo un basso sospiro di sollievo nello stendersi in quella frescura ristoratrice. «Vi ringrazio, ma non me la sentirei di definirmi un dottore se così non fosse» si schernì scoccandole un'occhiata obliqua, evitando di spiegarle delle sue congetture che il bambino fosse podalico per la forma del pancione e per le continue contrazioni dolorose che non avevano portato a progressi degni di rilievo in ore di travaglio. «Mentre voi siete stata una valida assistente, sapete?» le disse invece, cercandola nella luce tremula delle stelle.

La udì sbuffare sarcastica, la pelle liscia che riluceva diafana come madreperla e la lunga chioma che le cadeva in morbide onde attorno al volto. «Mi sono limitata a farla camminare qui e là per la casa e tenerle le mani quando gridava.»

«Domani fatemi controllare quelle braccia, a proposito, temo vi ritroverete con dei brutti lividi.»

«Aye, ma va bene così. Mi si è stretto il cuore quando s'è presa il piccolo Gabriel contro al petto, lì mi sono detta: "Ecco, è giusto così".»

Il tono basso e carezzevole da confidenze fece vibrare una serie di corde nel cuore di Evans, che ebbe una piccola impennata nel petto. «Sapete, ho deciso di fare il medico perché speravo di aiutare le persone» confessò infine masticando assorto lo stelo, il pungente sapore della clorofilla che si spandeva confortante e amarognolo sulla lingua, resa sciolta dall'alcol. «Mi sento appagato quando riesco ad aiutare qualcuno, anche se ho dovuto fare spesso i conti con un sacco di brutte, bruttissime esperienze.»

«Tipo?» Lea rotolò su un fianco e lo studiò con interesse, gli occhi socchiusi.

Il profilo di Gabriel Evans anche al buio era uno spettacolo che le mozzava il fiato: con quel naso importante, i capelli scuri appena mossi e i lineamenti decisi, aveva un volto virile che però mostrava tutta la sua dolcezza in quegli occhi scuri e nella piega morbida della bocca generosa. Lo vide accavallare le gambe e dondolare un piede assorto, lo sguardo alle stelle palpitanti sopra di loro. «Molti morti, Ms Lea, tanti che ormai ho perso il conto, ma ahimé non ne potrò scordare nemmeno uno.»

«Sono sicura che avrete fatto di tutto per aiutarli.»

Espirò rumorosamente col naso. «Me lo dico spesso, so di averlo fatto, o almeno ne ero intimamente sicuro. È buffo che siate più certa voi della cosa di quanto non lo sia io medesimo» aggiunse con un guizzo d'entusiasmo che lei poté figurarsi nel suo bel sorriso.

«Lo so perché siete un uomo buono e semplice da capire» fu la sua spiegazione logica.

Gabe emise un verso tra lo scettico e il divertito. «In fondo è solo il mio lavoro, Ms Lea.»

«Lo ripetete un po' troppo spesso, sapete? Sono tutte sciocchezze poi: il Dottor Murray a Galway non ha mai fatto nemmeno la metà delle cose che voi avete fatto per noi in cinque giorni» ribatté lei decisa, strappandogli una bassa risata che le fece accapponare piacevolmente la pelle. Si accoccolò meglio chiudendo gli occhi e con un mormorio appena udibile sussurrò: «Sono contenta di aver passato un altro giorno assieme a voi, dottore, così avrò più cose da ricordare quando non ci sarete più.»

Gabe quasi si strozzò con lo stelo e si puntellò su un gomito, cercandola tra l'erba alta alla sua destra. «Non potrò mai scordarvi, Ms Lea» si ritrovò a dirle con la voce che faticava a uscire, le parole che premevano per rotolare fuori tutte assieme, il sidro che reclamava il suo prezzo.

«Vi scorderete di me» lo contraddisse, pacata ma ferma. «Non fatevene cruccio, dottore, in fondo sono solo un'umile figlia di pescatori. Incontrarvi è stata l'esperienza più bella mi sia mai successa e serberò il vostro ricordo come un tesoro prezioso.» Avvertì le lacrime minacciare di uscire, così aprì quel tanto gli occhi per inchiodarli in quelli scuri e spalancati del dottore che la fissava a bocca dischiusa, il respiro pesante e l'espressione stravolta. «Non fatemi sentire peggio di quanto non mi stia sentendo» fu la sua bassa preghiera prima di girarsi dalla parte opposta e dargli le spalle.

*N.d.A.*

Buongiorno!

Ormai abbiamo capito che quello che lega Gabe e Lea non è del semplice trasporto, ma il nostro Dottor Evans è proprio cotto a puntino! ❤️ E sembrerebbe che anche la giovane ragazza sia altrettanto presa. Come andrà a finire tra i due?
Grazie a chi continua a leggerci, alla prossima!

CC


Of Seamen and Maidens - VECCHI FANTASMI E CIELI OMBROSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora