Quel giorno il cielo era di un azzurro intenso, con il sole che brillava in alto, senza che un filo di vento alleggerisse l'aria ferma tutt'attorno alla Wicked Mary.
In piedi sopra il cassero di poppa, il Capitano James Lockhart scrutava accigliato la calma tutt'attorno alla nave, i ricci scuri sciolti che gli si appiccicavano al capo per l'afosa umidità che saliva in lente spire dall'oceano di un blu cobalto che li circondava immoto e solenne. Si passò lento la punta dell'uncino attorno al fazzoletto da collo per allentarlo, provando un piccolo sollievo al contatto dell'acciaio fresco contro la pelle sudata e fece guizzare gli occhi ai marinai accasciati nei vari angoli del ponte superiore intenti a rilassarsi facendosi i fatti propri. Quella mattina, una volta sveglio e constatato che per il resto della giornata non ci sarebbe stato mezzo refolo a far muovere il veliero, ne aveva approfittato ordinando perentorio che venissero lucidati gli ottoni, lavate le vele e pulita l'intera nave da cima a fondo. L'ordine era stato eseguito in quattro e quattr'otto in quanto di per sé era abbastanza pignolo sulla manutenzione della propria imbarcazione così che già per dopo pranzo le possibili attività di routine erano state correttamente svolte. Si era dunque dovuto arrendere all'evidenza di mettersi l'animo in pace e restarsene con le mani in mano, sperando che almeno verso sera si alzasse un bel vento che desse loro la spinta per riprendere il viaggio a vele spiegate.
Si stava chiedendo pigramente se immergersi nel Libro III dell'Ars amatoria di Ovidio, era già molto che si era ripromesso di rileggerla per studiarla con occhio più critico dopo che sua moglie glielo aveva ridato con il solo laconico commento di fine lettura: «Direi che è evidente sia stato scritto da un uomo!», quando togliendosi la giacca scorse con la coda dell'occhio la sottile figura del suo capitano in seconda salire agile le scale verso di lui in maniche di camicia.
«Non c'è la minima traccia di vento, non è così, capitano?» fu la superflua constatazione di Duncan, mentre si portava veloce le due nocche alla fronte.
Lockhart ripiegò con cura la propria giacca senape, dedicando una breve occhiata incuriosita alle dita corte e tozze del più giovane che tamburellavano nervose sulla lisa cintura in cuoio stretta in vita. «La corrente calda del Golfo non dovrebbe lasciarci troppo a lungo in queste condizioni» fu la sua cortese risposta, poi con noncuranza aggiunse: «Avendo tempo libero, vi andrebbe di concederci qualche tiro di spada?»
Il solo occhio dello scozzese, grande e turchese, brillò vivo e la mano andò a carezzare bramosa l'elsa della sottile sciabola che riposava inerte lungo il suo fianco, ma raddrizzando le spalle e abbassando lo sguardo, con le gote rosa per l'emozione, provò a bofonchiare: «Non vorrei certo arrecarvi disturbo, capitano.»
Dopo aver perso l'occhio sinistro, Fingal Duncan aveva dovuto fare i conti con la sgradevole mancanza della visione periferica che lo aveva reso goffo nel muoversi, cosa a cui aveva ovviato aggiungendo una pacatezza nei movimenti che ormai lo contraddistingueva tanto che James faticava a ricordarselo diversamente se non con quel passo felpato da gatto.
Ciò che amareggiava oltre ogni dire il suo capitano in seconda di quella situazione era che, senza i due occhi, si sentiva molto vulnerabile. Tutto questo gli era uscito fuori una sera quando, completamente sbronzo, MacLeod e Lockhart erano dovuti andarlo a recuperare da una squallida bettola a Georgetown in cui si era rifugiato per affogarsi nell'alcol dopo l'increscioso incidente con Mr Gordon. Quest'ultimo era un permaloso quanto ricco proprietario terriero del luogo, e per poco Finn non aveva mandato all'aria la lunga e complessa trattativa del capitano per un promettente traffico di tabacco delle sue piantagioni. Difatti Duncan, nel voltarsi, lo aveva urtato per sbaglio, facendogli cadere del costosissimo whisky che stava tirando fuori per i propri ospiti come gesto per suggellare il loro accordo raggiunto. Tanto Lockhart quanto MacLeod erano rimasti agghiacciati nel vedere l'elegante bottiglia di spesso vetro elaborato frantumarsi a terra con gran fracasso, gocce ambrate e schegge lucenti che schizzavano ovunque nell'aria torrida dell'assolato salotto di Mr Gordon, la cui faccia aveva virato in fretta dal grigiognolo al rosso collerico. Finn aveva aperto la bocca per poi richiuderla, gesto che aveva ripetuto un paio di volte senza però emettere un suono, il volto stravolto per l'orrore e l'imbarazzo: il signore aveva avuto la sfortuna di trovarsi alla sua sinistra mentre si stava alzando dal divanetto e non l'aveva visto, che altro poteva aggiungere? Con la bocca impastata dall'alcol aveva biascicato che era pure rimasto coinvolto in una rissa per aver bevuto da un boccale che non era il suo, ma se l'era prese di santa ragione senza ricambiarle in quanto aveva avuto difficoltà a coordinarsi.
Lockhart non gli aveva concesso nemmeno il tempo di tornare sobrio in quanto, non appena riportato sulla nave, lo aveva fatto risvegliare con una secchiata d'acqua per poi piazzargli una tirata epocale sulla condotta che si aspettava dal proprio capitano in seconda e su come la mancanza di un occhio non fosse una valida scusante per piangersi addosso, il mondo era pieno di gente messa peggio che, al contrario di lui, si rimboccava le maniche per andare avanti dando il meglio di sé.
Anche se sbronzo, Fingal ricordava perfettamente ogni singola parola di quel discorso e così fece quanto gli era stato detto: si rimboccò le maniche. Tra le cose, andò pure a chiedere in tono noncurante a Ross se fosse disposto ad allenarsi con la spada con lui, così circa una volta al giorno da che salpavano si concedevano qualche duello da cui entrambi erano usciti con graffi qui e là. MacLeod aveva dimostrato all'armatore Dmitri Levin di sapersela cavare con le armi da fuoco, provando di avere una mira niente male, ma per le armi bianche riconosceva la propria carenza e quei momenti con Finn erano un ottimo modo per impratichirsi nonché per ingannare i lunghi pomeriggi di bonaccia sul mare. Un giorno, durante uno dei loro duelli, erano stati interrotti da Lockhart stesso con un brusco: «Direi che è arrivato il momento di fare sul serio, Mr Duncan» prima di estrarre con un guizzo fluido la sciabola dal fodero e con poche mosse disarmare il proprio comandante in seconda, che lo fissava esterrefatto a labbra dischiuse. Da allora, quando poteva, pure lui si metteva con Finn per dare qualche colpo di scherma, perché, in fondo, lo sguardo acceso di Duncan mentre si batteva con MacLeod gli aveva ricordato molto il proprio quando, anni prima, aveva perso la mano: lo aveva spiegato una sera a sua moglie nell'intimità della loro cabina. «Non sono certo nato mancino, cosa credevi? Ho dovuto imparare tutto da zero pure io. Quando inizi ti senti così impotente e... vulnerabile» le aveva sussurrato con aria assorta mentre lei, stesa accanto, gli aveva carezzato con tenerezza la vecchia cicatrice sul moncherino.
Le sciabole cozzarono in uno scintillante fragore e Fingal Duncan si allontanò di un passo per poi girargli attorno con il braccio ancora alto, ciocche di serici capelli biondi appiccicati al viso accaldato.
I marinai si erano pian piano radunati attorno agli spadaccini e ora osservavano intrigati le due figure che guizzavano agili lungo tutto il pontile tra parate e affondi veloci, entrambi con la medesima espressione seria e concentrata mentre i piedi quasi danzavano sulla tolda scura.
«Il vostro contrattacco è migliorato notevolmente» concesse James Lockhart fendendo l'aria con la sciabola in un sibilo, la gamba sinistra in avanti e le ginocchia flesse. «Ma voi continuate a pensare troppo.» Scattò in avanti, le labbra serrate e la mascella rigida, mentre la spada si alzò per calare netta in una serie di affondi che Finn parò con un clangore di spade, arretrando di un paio di passi fino a che non sbatté col fianco contro il parapetto alla sua sinistra, cogliendolo di sorpresa.
Lockhart ne approfittò e con un ultimo affondo si tuffò in avanti, la punta della sciabola che saettò rapida all'impugnatura del suo secondo e con una rotazione del polso riuscì a sfilargli la presa e l'arma cadde a terra con un tonfo sordo.
Entrambi col fiatone, sorpresi guardarono al loro pubblico che applaudiva entusiasta per lo scontro; con un accenno di contrazione all'angolo della bocca a tradire un sorriso, Lockhart prese fiato e sbottò tirandosi indietro i capelli con la mano: «La vostra risposta è ancora troppo lenta perché temete di sbagliare mira. Dovete essere più veloce e fidarvi maggiormente del vostro istinto, avete un ottimo gioco di gambe ma il polso è ancora poco flessibile e mobile.»
Fingal inalò avido aria tanto con la bocca quanto col naso e, passandosi un avambraccio per asciugarsi del sudore di cui si era imperlato la fronte, annuì con aria compita al superiore, il quale si congedò dopo avergli dato un'amichevole pacca sulla spalla.
*N.d.A.*
Buongiorno!
In questo capitolo abbiamo un piccolo scorcio della vita sulla Wicked Mary e ritroviamo Fingal Duncan alle prese con la sua nuova condizione dopo l'aggressione subita in ACQUE SCURE E VENTI CONTRARI. Non abbiamo avuto modo di accennarlo prima, ma era da tempo che volevamo inserire qualche bella scena di scherma.
Grazie a chi legge e a chi commenta, alla prossima!
CC
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Of Seamen and Maidens - VECCHI FANTASMI E CIELI OMBROSI
Ficción histórica[COMPLETA] Terzo capitolo della serie Of Seamen and Maidens. Seguito di ACQUE SCURE E VENTI CONTRARI. Kingston, 1801. Sono passati due anni da quando la Wicked Mary, il vascello del Capitano James Lockhart, è approdato in Giamaica. James non ha mai...