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Il mattino seguente quando mi risvegliai, fortunatamente senza i postumi della sbronza, la prima cosa che feci fu scrivere a Martin e chiedergli di fare colazione insieme.

Le sue parole mi avevano colpito e stupito, dunque volevo aiutarlo in quel momento di difficoltà, fargli capire che, nonostante tutto, non lo avrei lasciato solo.

"Già vai?" domandò Gus quando finì la sua colazione.

Ci trovavamo a casa sua dal momento che, la sera precedente, avevamo deciso di evitare la suite del club.

"Devo parlare con Mimi. Ieri sera si è aperto con me su un argomento importante e voglio dargli tutto il supporto possibile." risposi mentre raccoglievo le ultime cose.

Ormai passavo più tempo in casa sua che nella mia, ma andava bene così.

"Cosa ti ha detto di così importante?" insistette, forse sperando in una mia confessione.

Scossi prontamente la testa e dissi: "No, non cascherò nella tua trappola, Gus Gus. E' una cosa privata, soltanto sua e tale deve rimanere."

"Ma sono il tuo ragazzo!" e fece la sua faccia da cagnolino abbattuto, tenera e dolce, capace di stregarmi e farmi cedere. Ma non quel giorno, non in quel frangente.

"E lui è uno dei miei migliori amici! Non spetta a me spiattellare i suoi segreti, quando si sentirà pronto, ne parlerà anche con te." spiegai con tono risoluto, dopodiché ci salutammo e in un quarto d'ora arrivai nel luogo d'incontro con il piccolo e tenero Khalifa.

Per tutta la sera precedente, infatti, non avevo fatto altro che pensare a quella sua ultima affermazione e a chiedermi: "come ho fatto a non rendermene conto prima?"

Perché, in fondo, tutti noi portavamo una maschera, una maschera velata, tristemente appoggiata sul cuore, per proteggerci da quella che in teoria doveva essere la nostra più grande fortuna, ma che si era trasformata nella nostra più grande sciagura. Figli di un'era sbagliata, nati e cresciuti in una società affamata.

"Ieri eri bello che andato, eh!" esclamai, saltando al collo del mio amico.

Negli ultimi mesi si era trasformato in una persona diversa da quella che era un tempo e solo la sera prima avevo, forse, compreso il perché di quell'atteggiamento da duro.

"Come sempre d'altronde, non ti pare?" ribatté e poi sorrise leggermente.

Si passò una mano fra i capelli ricci e castani e con i suoi occhioni verdi mi invitò ad entrare nel bar che avevamo scelto.

"Mimi, prima che tu dica qualsiasi cosa, voglio che tu sappia che io ci sarò sempre per te, mai mi permetterò di confessare i tuoi segreti a qualcuno. Neanche a Gus o a Jasmine." promisi, affermando successivamente una delle brioche che ci avevano portato.

Quella mattina entrambi eravamo particolarmente affamati.

"Grazie, dico davvero." sorrise. "Anche se non so veramente di cosa dovrei parlare." mentì e immediatamente percepii il senso di vergogna che provava nei suoi stessi confronti.

"Non devi parlamene subito se non te la senti, dico davvero. Ieri sera, prima di svenire, mi hai confessato che..." iniziai a parlare ma venni interrotta.

"No, ero fuori di me. Ero ubriaco e ho sicuramente detto qualche cazzata." mentì nuovamente, spaventato.

"Martin, per favore! Non tenerti tutto dentro. Sono io, puoi fidarti di me." cercai di calmarlo e aiutarlo.

Non potevo immaginare ciò che stesse provando in quel momento, ma conoscevo benissimo quel senso di inadeguatezza che capace di attanagliarti giorno e notte, di consumarti, di farti sentire perennemente sbagliato. Ed era orribile, così orribile che non lo avrei augurato neanche al mio peggior nemico.

Amore Bugia Gioco.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora