capitolo 28

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Ci voleva solo questa. Questa mattina mi hanno operato, è stato breve e praticamente indolore. Ora sono in ospedale. Sto decisamente meglio, ma voglio tornare a casa. Devo studiare, ho un sacco di cose da fare. Stare a riposo non fa per me. Per fortuna la degenza per l’appendicite non è più così lunga, ti tengono sotto controllo una notte e poi ti mandano a casa il giorno dopo. Piero ha deciso di rimanere con me in questi giorni. Vuole provare a fare il maritino perfetto, anche se io onestamente preferirei stare da sola, e arrangiarmi come posso. Anche Gaetano, mio Suocero è rimasto, e durante l’operazione è stato vicino ai miei genitori.

“Piero… Mi hai portato la copertina di pile che ti avevo chiesto?” chiedo mentre ancora sto sdraiata a letto. Vorrei provare ad alzarmi, ma sti maledetti tubi mi stanno rompendo da stamattina dopo l’operazione, ieri sera ero troppo rincoglionita per capire.

“Si amore. Tieni” mi mette la coperta addosso, e poi si siede nella sedia accanto al letto. “Stai meglio?”

“Si! Domani forse mi dimettono. Ho ancora un po’ di dolori, ma non è fortissimo. Poi mi sono ripresa in fretta dall’anestesia!” dico guardandolo negli occhi “ieri sera sei andato bene! Bravo!” dico sorridendogli.

“Grazie. Ho mantenuto la calma! Poi quando hanno detto che era solo appendicite mi sono rilassato.” Dice sorridendomi. “Adesso dovrai mangiare in bianco per un bel po’” mi dice prendendosi gioco di me.

“Sei uno stronzo.” Faccio finta di offendermi, ma poi gli sorrido.

“Mangerò anche io la pasta all’olio” dice alzando le spalle, come se il cibo fosse l’ultima delle sue preoccupazioni.

“Buon giorno a tutti! Belli e brutti!” sentiamo dire da qualcuno alla porta. Mi giro e vedo Ignazio e una mandria di Persone sulla soglia della mia porta.

“Arianna, ma ti sembra il momento di farti venire l’appendicite?” dice Leonora, la mamma di Gianluca.

“Infatti, pessimo, anzi terribile momento.” Dico sorridendo, visibilmente delusa. “Ma domani conto di essere a casa, per forza, sennò non so cosa fare.”

“Dai dai… al massimo ti tengono qui ancora un po’. Sai che buone le minestrine dell’ospedale?!” dice Ercole.

“Arianna, adesso il problema è un altro. Sarai nelle condizioni tra 4 giorni di venire in America?” chiede Michele guardandomi.

“Mi scusi signor torpedine.” Interviene mia madre, entrando nella stanza insieme gli altri. “Ma ora quello che conta è la salute di mia figlia. Piuttosto non parteciperà a Sanremo. Ma ora come ora non deve subire stress. Lo so che è un operazione da nulla, quella che ha appena affrontato. Ma Per favore, mi lasci mia figlia” sento che all’ultima frase la sua voce si inclina leggermente. Oh, no, ti prego mamma non piangere.

Cerco gli occhi Di Piero, ma lui tiene lo sguardo basso e gioca con i lembi della coperta, guardo le altre persone in quella camera: Ignazio guarda suo padre, che sta iniziando ad avere le lacrime agli occhi, mentre i genitori di Gianluca sono usciti. Gianluca invece si avvicina lentamente a me, e mi tiene la mano destra, mentre Piero, dopo un po’, mi prende la sinistra.

“Mamma, non ti preoccupare. Ora troviamo una soluzione. Vai a prendere un thè o una camomilla” provo a dirle con voce più o meno decisa. Non si muove, si gira solo a guardami. “Mamma, ho un po’ sete.” Provo a dire di nuovo, in tentativo di farla uscire “mi andresti a prendere una bottiglia d’acqua?” vedo che finalmente scuote la testa, come se fosse stata in trance.

“La vuoi frizzante o naturale, Ari?” faccio un sospiro di sollievo e le dico di prenderne una naturale, l’unica che posso bere ora come ora.

Gaetano si propone di accompagnarla, vedendola abbastanza sconvolta, così la segue fino al bar dell’ospedale. Guardo i ragazzi, Michele e Barbara che sono rimasti nella stanza, ed hanno assistito alla scena.

“Scusatela. È piuttosto stanca.” Mi alzo un po’ a sedere sul letto, e Piero mi sistema i cuscini con l’aiuto di Gianluca.

“Non ti preoccupare. Va tutto bene” Mi dice Michele “Ma ora devi dirmi tu. Posso capire qualsiasi tua decisione.”

“Parto allo stesso.” Dico sotto voce. Faccio cenno a Barbara di controllare se arriva mia mamma “Dirò che abbiamo alleggerito il carico di lavoro notevolmente.”

“Arianna, non voglio prendermi la responsabilità se ti senti male.” dice Michele anche lui a bassa voce.

“Potete uscire tutti?” chiedo agli altri. “Rimangono solo Michele e Barbara”

“Arianna per favore. Ragiona.” Dice solamente Piero, mentre gli altri escono subito.

“Ascolta Michele. Posso farcela sto già meglio. In questi giorni mi riposo del tutto. E poi vengo con voi.” Dico cercando di essere convincente. “Starò dai miei genitori, in questi giorni, così mi riposo de tutto.”

“Arianna, alleggeriamo davvero però un po’ il carico. Puoi iniziare una settimana dopo, per esempio.” Prova a farmi ragionare Barbara.
“I coach sono piuttosto elastici. Puoi spostare le lezioni come meglio credi.” Mi tranquillizza Michele.

“Posso almeno chiedere una cosa?” loro annuiscono, “vorrei un programma di studio. Ne ho davvero bisogno. Almeno mentre sono a casa recupero quelle cose che mi perdo.” Imploro Michele.

“Tu, mi farai arrivare all’esasperazione.” Dice Michele prendendo in mano il telefono, fa qualche chiamata, probabilmente in studio e obbliga le sue segretarie a mandarmi il programma che avevano stabilito. “Ti arriveranno i documenti via e-mail.” Mi dice rassegnato

“Arianna, Michele non ci sarà a New York per una parte del tour, ma che sia chiaro: io non ti voglio vedere fino almeno il 10 febbraio.”

“Ma…” provo a replicare

“Non voglio ma. Arianna non farmi arrabbiare.”

“Potrei venire prima. Tipo il 9?”

“NO” rispondono insieme Barbara e Michele, ormai disperati.

“Ok, ho afferrato il concetto.”

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Dopo due giorni di degenza in ospedale, finalmente mi rimandano a casa. Piero ha deciso di accompagnarmi prima a casa mia, e poi a casa dei miei genitori per assicurarsi del fatto che non scapperò di li. Appena entra si dirige subito in camera e prende il necessario per una settimana dal mio armadio, sotto mie istruzioni visto che non mi fa muovere da sopra il letto, mettendomelo in ordine in una valigia. Poi scende e la carica in macchina.

Scendo anche io, mi assicuro di mettere l’allarme e chiudo la porta. Piero mi aspetta in macchina. Entrambi non abbiamo detto una parola se non ciao, e chiederci reciprocamente come stiamo.
Mi siedo in macchina, e Piero riparte.
Dopo una mezz’oretta di viaggio arriviamo nei pressi di casa mia, ma vedo che non accosta, né tenta di fermarsi, va oltre. Mi giro indietro, scioccata. Lo guardo in viso, ed è comparsa una faccia da furbetto.

“Piero… dove stiamo andando?” chiedo preoccupandomi

“Non dovrei dirtelo. Ma le ragazze ti hanno preparato una festa. Visto che sei stata male l’abbiamo anticipata.” Dice sorridendomi.
Arriviamo dopo poco al ristorante di famiglia, e subito vengo accolta da tutti super sorridenti. Mi tolgono il braccialetto dell’ospedale che ancora indosso. E ci diamo alla festa. O meglio. Gli altri mangiano piatti squisiti, mentre io mi devo limitare al riso bollito con verdurine tristi, e carne cotta ai ferri con verdurine depresse.
Dopotutto è stata una bella festa. Le ragazze mi hanno regalato praticamente di tutto per sopravvivere negli Stati Uniti. Sono contenta, mi sono divertita. Ma purtroppo, anche le cose belle sono destinate a finire.

“Allora voi Tra due giorni partite” dico mentre accompagno alle macchine i ragazzi.

“Però poi tu ci raggiungi… riprenditi del tutto, finisci l’antibiotico. Prendi tutte le pasticchette, e ci vediamo a New York tra 10 giorni.” Dice Ignazio, per poi darmi un bacio sulla fronte per salutarmi e salire in macchina

“Ari, tra 10 giorni a New York. Non un giorno in meno.” Dice Gianluca capendo che sarà difficile tenermi alla larga. Mi saluta anche lui e sale in macchina.

“Io non dico nient’altro. Hanno già detto tutto loro.” Dice Piero sorridendomi. “Ti ho scritto una cosa.” Mi porge un foglio di carta, mi dà un bacio appena sfiorato sulle labbra “Ti amo” sale in macchina, lasciandomi con il foglio in mano, e l’espressione da demente.

Arrivo a casa con i miei genitori, mi metto il pigiama, e mi sdraio sul letto, emozionata con il mio foglio in mano. Inizio a leggere:

“Cara Arianna,
Ti sto scrivendo mentre sei entrata in quella sala operatoria. Lo so, è solo un’appendicite. Eppure sono qui con l’ansia di rivederti e di posare di nuovo le mie labbra sulle tue.
Tutti dicono che si riconosce il valore delle cose che hai, quando hai paura di perderle. Ho scoperto che è vero. Ieri sera quando stavo in macchina e seguivo quell’ambulanza, ho seriamente temuto di non poterti più vedere, perché ora come ora, sei una delle cose più belle ed importanti che posseggo. Anche se so che non ti piace quando lo dico, tu sei mia, e di nessun altro. Perché io ho scelto te. Ho scelto te alla mattina, quando appena sveglia mi guardi con gli occhi gonfi, struccata e nonostante tutto bellissima. Ho scelto te quando sei stressata e mi rispondi male, e io nonostante tutto ti capisco. Ho scelto te quando cerchi di non piangere, quando anche se il mondo ti sta crollando addosso tu sorridi, e quel cavolo di sorriso lo trasmetti a tutti. Ho scelto te quando ti metti da parte, ed anche se stai male risolvi i problemi di tutte le persone che ti circondano, e non permetti a nessuno di aiutarti perché tu non ne hai mai bisogno. Ho scelto di innamorarmi dei tuoi occhi, del tuo sorriso, del tuo essere così te stessa. E sì, te lo dico. Io Ho scelto di amare te. Per sempre tuo PIERO”

Finisco di leggere, mi cade una lacrima, che va a finire sul foglio. Prendo il telefono in mano. Così senza pensarci scrivo un messaggio a Piero: “Ho scelto di amare te, e di continuare ad amarti per sempre. TI amo Piero.” Poggio il telefono sul comodino e mi addormento con il sorriso sulle labbra.

Love Him Is RED || Piero Barone, Il Volo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora