Capitolo 1

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'Mi piaceva restare a letto per ore, anche durante il giorno, con le coperte tirate su fino al mento. Si stava bene li sotto, non succedeva mai niente, non c'era gente, niente.'

Calò sulla testa il cappuccio della felpa nera per cercare di ripararsi inutilmente dalla pioggia che quel giorno aveva deciso di inondare New York.

Alzò gli occhi cercando di non dare a vedere il fastidio che quelle maledette scarpe le procuravano.

Erano un paio di Converse nuove di zecca che August aveva insistito per comprarle.

Cosa avevano di sbagliato quelle nere che aveva a casa?

'L'età'  le aveva detto ridacchiando il ragazzo.

Si fermò di fronte a quel cancello verde bottiglia che le ricordava tanto la casa di loro zio e si appoggiò al muretto fortunatamente asciutto grazie all'albero che lo proteggeva.

Aveva lasciato a casa quel maledetto ombrello lilla che Tiana tanto amava, lei lo trovava semplicemente ridicolo.

-Hei Ray- guardò la piccola figura venire verso di lei e abbracciarla con un sorriso sdentato che le migliorava le giornate.

-Ciao Becky- la bambina dalle lunghe trecce castane si voltò per salutare un'amichetta che l'aveva chiamata.

Le prese di mano lo zainetto viola scuro.

-Com'è andata a scuola-

-Una vera merda- le rispose la sorella minore facendola ridacchiare.

-Ricordati cosa ha detto Tiana, non devi dire le parolacce Rebecca-

Quella fece un gesto vago con la mano, dopo di che si voltò verso di lei con una smorfia.

-Perchè non la chiami mamma?-

Railey sbuffò.

-Smettete di chiedermelo, non ci riesco. Fine della storia- biascicò svogliatamente.

-Ogni volta che li chiami per nome loro ci rimangono male- insistette Becky

-Non posso chiamarli mamma e papà se non lo sono- replicò freddamente.

Sua sorella alzò un sopracciglio.

Perchè non poteva rimanerci male e chiudere il becco come facevano un po' tutti?

-Loro lo sono-

-No, i nostri genitori sono morti 3 anni fa-

Becky si fermò costringendola a fare lo stesso.

-Ci hanno accolti nella loro casa poco dopo l'incidente, sono come dei veri genitori Ray-

Si massaggiò le tempie mentre la pioggia riniziava a cadere più forte di prima.

-Dobbiamo muoverci Becky- la prese per mano trascinandola verso il bar più vicino.

Si sedettero ad un tavolino all'interno in assoluto silenzio.

Si sentì mortificata per lo sguardo triste della sorellina e si diede della stupida.

Lei voleva davvero bene a Tiana e Stefan, tuttavia chiamandoli mamma e papà le sembrava di tradire i loro veri genitori.

Becky aveva solo cinque anni quando morirono, ma lei no, lei ne aveva 16 e si ricordava benissimo ogni condolianza ricevuta, ogni mazzo di rose che le veniva recapitato da qualche amico o parente e che ovviamente veniva cestinato con le lacrime agli occhi.

-Chi era quella bambina bionda che ti ha salutato?-

Lo sguardo di Rebecca non si rianimò come aveva sperato.

-La mia migliore amica-

-Come si chiama?-

-Mckenzie Clark-

Railey annuì anche se quel cognome le ricordava qualcuno.

Therese le aveva parlato di un certo Trevor Clark, quarto anno di college, classico idiota senza cervello.

-Ha un fratello?- domandò inumidendosi le labbra.

Becky si fece pensierosa e annuì.

-Capisco- mormorò.

-Beh, vuoi un gelato?-

-Non ho fame- rispose la bambina scendendo dalla sedia e avviandosi verso l'uscita.

Railey sospirò e la seguì velocemente.

La vide correre sotto la pioggia scrosciante ed ebbe la stessa sensazione che aveva provato prima dell'incidente dei suoi.

-Becky! Vieni qua subito!- le lacrime le colarono sulla guance mentre correva come una forsennata cercando di raggiungere la sorella.

Nonostante il fiatone e i capelli biondi fradici le sferzassero il viso non si fermò finchè non la raggiunse.

La afferrò per un braccio e la voltò verso di sé.

Aveva il naso rosso e gli occhi lucidi.

-Non farlo mai più- la implorò chinandosi e guardandola negli occhi.

Becky scoppiò in singhiozzi sulla sua spalla.

Si rialzò e si tolse la felpa rimanendo con una misera canotta bianca.

La fece indossare alla sorella che fortunatamente era coperta dalla pioggia.

Dopo di che la prese in collo e riprese a camminare con un peso sul petto che a tratti le impediva di respirare.


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