Padre Oberon Lindbland era in attesa che la chiesa si riempisse. Era arrivato ormai alla terza funzione della giornata, ma sul suo volto non c'era traccia di stanchezza. Il compito a cui Nergal l'aveva chiamato era così elevato che non poteva con-cedersi il lusso di apparire fiacco o provato. La gente di Valissa dipendeva in gran parte da lui e dalla sua chiesa, per la salvezza della propria anima.
Nel vedere il misero spettacolo dei suoi fedeli, però, perfino la sua inesauribile forza d'animo vacillò. Mendicanti e derelitti, schiavi e indigenti, malati e infelici, la massa che si stava riunendo era quanto di più triste la sua mente potesse immaginare.
Scese i pochi gradini e andò ad accarezzare il viso di un bambino. Il palmo percepì ogni singola imperfezione che la malattia aveva inciso sulle guance, mentre la madre lo teneva fra le braccia senza alzare lo sguardo. Anche lei, come il figlio, era segnata da una malattia che presto l'avrebbe condotta nella tomba. E tuttavia il suo atteggiamento era fiero, quasi distaccato. Sembrava consape-vole che tanta sofferenza sarebbe presto stata ripagata, un regno celeste era pronto per lei e il suo bambino.
«Nergal ti ripagherà di tutto», si sentì di prometterle, pur non riuscendo a nascondere un'espressione incerta.
Le regalò un sorriso tirato e infine si voltò per tornare all'altare. Di nuovo ricordò che era la fede di quella gente a dargli la forza di andare avanti, di procedere nel suo cammino anche quando scintille di incertezza gli bruciavano nell'animo.
La chiesa era quasi del tutto gremita. Dalla porta entravano or-mai solo gli ultimi fedeli, quelli più deboli e malati, quelli che la Morte nera si sarebbe portata via nel giro di poche ore o anche di pochi minuti. Non era raro infatti che, al termine della funzione, qualcuno non si alzasse più dal suo posto. In quei casi Oberon lasciava che la chiesa si svuotasse; poi chiamava i chierici e ordinava loro di portare via i corpi per la degna sepoltura.
Nell'istante in cui l'ultimo dei fedeli entrò, Oberon fece il giro dell'altare e aprì il Libro sacro sul leggio. Giunse le mani e mor-morò parole con un volume così basso che nessuno, neppure lui, le udì. Il vapore del suo respiro si condensava nell'aria, gelida testimonianza del suo sussurrare. Nel sollevare lo sguardo sul-la folla raccolta in preghiera, notò che più d'uno batteva i den-ti; qualcuno, invece, si stringeva le mani al corpo; altri, infine, si limitavano a tremare, come se quell'inverno infinito fosse solo un'altra delle prove con cui Nergal saggiava la loro fede.
Oberon cercò con lo sguardo uno dei chierici della Fratellanza e gli fece un cenno impercettibile. Il soldato annuì e andò a chiude-re le porte. Il freddo non si attenuò, ma sembrò che l'ambiente si fosse più protetto, come se il male che stava mandando alla deriva il mondo potesse essere tenuto fuori da lì, anche solo per un'ora. Nel silenzio della chiesa, il rumore incessante della pioggia diede il ritmo alle sue parole. «E dunque non temete, figli miei, per le privazioni che state soffrendo in questa vita. Esse non sono altro che il modo con cui il nostro amato Nergal ci vuole mettere alla prova. Rendetegli piuttosto grazie per quello che avete, per quan-to poco esso sia, e non interrogatevi sul perché del dolore, a noi comuni mortali non è dato comprendere i suoi piani. In compen-so ci è stata donata la fede, che è il bene più grande cui potessimo ambire. Con la fede, con questo dono immenso, possiamo accet-tare le sofferenze che ci vengono sottoposte giorno dopo giorno, consapevoli che prima o poi anche noi saremo accolti nel regno celeste di Nergal».
Sollevò la testa e incontrò di nuovo la folla dei fedeli. Tra di loro scorse un volto sconosciuto. Apparteneva a un uomo di mezza età, che non sembrava essere un cittadino di Valissa.
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Pestilentia
FantasyUn ragazzo in fuga da qualcosa che non doveva essere liberato. È l'inizio della fine. Quattro secoli dopo, il mondo è un ammasso purulento. Una pestilenza ha spazzato via quasi ogni forma di vita, e il gelo ha stretto nella sua morsa gli ultimi supe...