31 (Parte prima)

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Fiamme. Ovunque si voltasse.

Fuochi incandescenti. Lingue vibranti e in continuo mutamento.

La carne bruciava, si decomponeva e infine si dissolveva ridotta in cenere. Carne umana, di chi aveva abbandonato la retta via votandosi agli dei pagani e cercando scorciatoie per raggiungere il regno celeste, quando l'unica via erano la preghiera e la mortificazione dello spirito e del corpo.

Sotto gli occhi attenti del sommo Padre, la notte era illuminata a giorno da migliaia di roghi.

Le grida riempivano l'oscurità. Esse che avevano perso ogni traccia di umanità; grida di dolore, di sofferenza, di misericordia; urla di chi aveva perso ogni speranza e si avviava a incontrare quel dio che aveva rifiutato e dal quale sarebbe stato giudicato. Mai prima d'allora vi era stata una rappresaglia così cruenta contro gli eretici della Mors atra.

La vendetta era stata implacabile.

Ferita dagli attacchi degli eretici, la Chiesa di Nergal aveva deciso di reagire. E per la prima volta aveva risposto alla forza con la forza, al sangue col sangue, alla guerra con la guerra. Nel breve volgere di due giorni migliaia di eretici erano stati arrestati, processati e condannati al rogo.

Eckhard attendeva immobile. Molti di coloro che stavano bruciando erano finiti là per mano sua. Eppure il suo volto era impassibile. Non era mai stato incline al riso, neppure prima di quel giorno. Ma da allora aveva smesso di ridere.

Per sempre.

Tra un fuoco e l'altro c'erano cavalieri che gioivano e cittadini che brindavano con quel poco rimasto per brindare: vino, birra e perfino acqua requisiti dalle case, dalle botteghe e dai negozi di quegli stessi eretici che ora stavano bruciando.

Ma non Eckhard. Lui se ne stava con le braccia incrociate dietro la schiena, in quella postura marziale che suo padre gli aveva insegnato a forza di bastonate. E aveva occhi per un solo rogo, quello di una donna eretica.

La sua donna.

La stessa che aveva denunciato ai tribunali ecclesiastici non appena scoperto che anche lei era una seguace degli antichi dei pagani. E che aveva poi condotto in piazza e bruciato su una pira alla quale aveva lui stesso dato fuoco.

Ma mentre le fiamme divoravano il corpo del suo unico amore, lui aveva pianto, consapevole che il suo cuore si era rotto. Era stata una vera e propria sensazione fisica. Il suo cuore si era spezzato. Infranto, distrutto. Mandare a morire la donna che amava aveva ucciso la parte di lui che era ancora in grado di provare sentimenti.

La confusione, le fiamme, il calore, l'odore, le grida... di tutto questo non c'era alcuna traccia in lui. La sua mente era piena solo della sua presenza, del suo sorriso, dei suoi capelli, del suo amore. Lo trovarono ancora così, intento a fissare quel che restava di un palo annerito e un mucchio di cenere che un tempo era stata una persona.

«Sei tu Vanemburg... il cavaliere?».

Udì a malapena le parole. Però annuì, perché quello era il suo nome e ancora lo ricordava.

«Devi venire con noi. Il sommo Padre Jahr vuole incontrarti». Scosse la testa. Non voleva, non era il momento.

L'uomo che gli stava parlando si incupì. «Devi venire».

Eckhard non reagì. L'altro allora l'afferrò di peso e lo condusse verso l'ingresso di una chiesa.

Tutt'intorno il fumo oleoso dei roghi oscurava il cielo e serpeggiava per i vicoli di Palash.

L'interno dell'edificio gli sembrò subito inconsistente, come fosse fatto anch'esso di fumo. Gli sembrava assurdo che muri così imponenti avessero un aspetto tanto impalpabile.

In un attimo, si rese conto che era solo. E che era in ginocchio. Batté le palpebre e riconobbe la sagoma del sommo Padre Jahr in persona.

«Sei tu Eckhard Uriel Vanemburg?».

Il volto del sacerdote era liscio, quasi del tutto privo dei segni dell'età. Aveva da tempo superato i settant'anni, ma sembrava ancora un ragazzino, con guance molli e cadenti. E anche il suo sorriso era quello di un adolescente, impertinente e indecifrabile. Annuì. La sagoma del sommo Padre era lieve; notò che sembrava quasi muoversi a un palmo da terra, come fosse sostenuta dalla sua fede.

«Mi hanno parlato di te. Tanto e bene».

Non rispose. I complimenti l'avevano sempre imbarazzato e riteneva che non ci fossero parole da ribattere di fronte alle lodi. Si limitò a tacere. Nel silenzio, però, lo raggiunse il rumore della pioggia. Fuori di lì si stava scatenando un violento temporale. Se non altro, avrebbe lavato le strade dalla cenere.

«È vero che hai consegnato la tua donna?». Annuì di nuovo.

«Era un'eretica?». Altro cenno d'assenso.

«E come mai un cavaliere stava con un'eretica? Non ti sembrava una cosa disdicevole?».

«Io... io l'amavo».

«Ah, l'amavi! E ti sembra una valida giustificazione? Esiste un solo amore che gli uomini devono perpetrare in ogni modo ed è quello per Nergal. Guarda me, non ho mai avuto una donna, il mio ruolo me lo vieta. Questo fa di me un uomo a metà? No, perché io sono colmo dell'amore per Nergal. Non ho bisogno di donne, io».

Eckhard tacque. Lui non era un sacerdote, lui poteva amare Nergal e una donna, non doveva scegliere. O almeno non aveva dovuto farlo fino al giorno della rappresaglia.

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