8 (Parte seconda)

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«Che cosa dovrei farti, adesso? Quale punizione dovrei infliggerti per il tuo errore?».

Affondò la testa nel cuscino. Non gli piaceva l'espressione di quell'uomo. Si appellò all'unica replica che gli venne in mente: «Lo ritroverò e recuperò quello che mi ha rubato. Dammi una seconda possibilità».

«Quindi dovrei fidarmi ancora una volta di te? Sei ricoperto di sangue, disarmato e hai i vestiti a brandelli; senza contare che emani un tanfo insopportabile. Dove vuoi andare? Sei ridicolo...».

«Fidati, invece. Non ti deluderò una seconda volta».

L'altro parve colpito dalla sua determinazione. Tuttavia scosse lo stesso la testa. «Impossibile. Cosa pensi sia successo dopo la tua irruzione nel Palazzo della Fratellanza?».

«I-i-io...».

«L'intero edificio è in fermento. Il furto, la morte di padre Cadwell ... sono tutti isterici! Senza contare che ieri in città è arrivato un cavaliere della Fratellanza e hanno deciso di affidargli il compito di ritrovare il ladro. E quello non ha perso tempo, ovviamente. Sta mettendo sottosopra la città e passando in rassegna i ricettatori. Se il ladro si è rivolto a uno di loro, quel ... Vanemburg o come diavolo si chiama potrebbe recuperare la refurtiva nel giro di un'ora. Capisci l'entità del danno che ci hai causato?».

Per quanto il suo tono fosse contenuto, quasi apatico in alcuni frangenti, Vikas non poté ignorare il modo in cui aveva aperto e chiuso i pugni quasi a ogni parola.

«Mi piacerebbe punire la tua incompetenza, ma questo non è un compito che spetta a me», riprese dopo un attimo di silenzio. «Passa qui la notte e domani all'alba prendi le tue cose e sparisci. Se ti ritrovo a girare da queste parti, non sarò altrettanto clemente. Manderò qualcuno a dare un'occhiata a quel naso. Il tipo che ti ha conciato così non ci è andato leggero e io non voglio avere debiti vacanti con te».

Vikas avrebbe voluto ribattere, forse anche ribellarsi, ma gli mancarono le parole. L'uomo accolse con un cenno secco il suo silenzio e lo abbandonò al suo destino.

Lui lasciò invece cadere la testa sul petto e cominciò a singhiozza-re. Non gli importava del denaro che aveva perso e nemmeno del dolore che pure gli martoriava il corpo. Gli importava solo di aver fallito. Si sarebbe strappato la vita con le proprie mani, se soltanto padre Abraham non gli avesse inculcato a forza il concetto che il suicidio era il peccato più grande che un uomo potesse commettere contro Nergal.

Quando pochi minuti dopo un chirurgo entrò nella sua stanza e cominciò ad armeggiare col suo corpo martoriato, accolse come una benedizione il ritorno del dolore. Quanti non avevano la sua fede non avrebbero capito; ma per lui quello era il modo più rapi-do ed efficace per espiare almeno in parte il suo errore. Quando poi il medico gli prese il naso per ridurre la frattura, Vikas urlò di dolore e di gioia, accogliendo con sadico piacere le lacrime che gli rigavano il viso e il rumore della cartilagine che tornava al suo posto, in uno spruzzo di sangue.

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