12 (Parte seconda)

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Ne mise insieme un bel po' e si tolse infine lo zaino dalle spalle. Benedì l'intuizione che le aveva suggerito di razziare la bottega di Leif, e cominciò a darsi da fare con esca e acciarino. La legna però era umida e bruciò poco e male, facendo più fumo che fiamme. Fu comunque un sollievo per entrambi.

Prese di nuovo lo zaino e vi gettò le mani dentro. Rovistò un po' e, quando trovò quel che cercava, restò in attesa. Gleb le sedeva davanti, le braccia avvolte intorno al petto. Non la guardava, la testa bassa e i denti che picchiavano tra loro come una litania incessante.

Shree provò qualcosa che non sentiva da anni: pietà. Alla fine si maledisse per il suo buon cuore e tirò fuori un po' di cibo. «Tieni, mangia».

Lo schiavo guardò il pezzo di carne secca. Poi allungò le dita tremanti e l'afferrò.

«G-g-grazie...», balbettò.

Lei mugugnò e ne addentò un pezzo. Era dura e fibrosa, ma era pur sempre carne.

«D-d-dove... dove and-andremo?».

Shree sospirò mandando giù un boccone. Quel balbettio le dava ai nervi e sospettò che non fosse solo causato dal freddo.

«Per ora il più lontano possibile da Valissa».

«Non... non and-andremo molto lontano... voglio dire... co-così conciati».

«Parla per te. Io ho intenzione di andare molto, molto lontano». «S-s-s... sì... cioè... n-n-no. N-n... non abbiamo molte scorte». «Ce le procureremo».

«E come?».

«Mi stai annoiando, schiavo. Non lo so, non ci ho ancora pensato. E comunque, Valissa non è così lontana, sei ancora in tempo per tornare indietro».

«Non... non voglio».

«Allora fa' silenzio e fidati di me».

*

Gleb pensò che la ragazza era scontrosa e anche rapida a menare le mani. Farla innervosire poteva essere pericoloso. E poi lui non era abituato a parlare. In genere nessuno gli rivolgeva la parola e, se accadeva, era per offenderlo o umiliarlo. Era nato schiavo e gli schiavi non piacevano; quelli come lui erano respinti perfino dal-la Chiesa di Nergal, che pure si vantava di aiutare i più bisognosi. Non sapeva neppure quanti anni aveva; i suoi genitori lo avevano abbandonato e, se non fosse stato per Leif, nonostante tutto, sarebbe morto da tempo.

Deglutì. Ma alla fine vinse la curiosità. Si fece forza e parlò con un filo di voce.

«C-c-che... che intenzioni hai?».

Lei alzò i suoi occhi verdi e lo guardo con un'espressione prossima all'ira: «Te l'ho già detto, non ci ho pensato».

Come si era aspettato, il tono della ladra risultò aspro. Annuì. Non aveva risposto alla sua domanda, ma dopotutto non si aspettava che lo facesse. Eppure, pochi secondi dopo, la ragazza ricominciò a parlare. Gli sembrò che lo facesse più per se stessa, che per lui. Ma gli andò bene lo stesso.

«Ci staranno cercando... mi staranno cercando. E non potrebbe essere altrimenti, visto che ho ancora il loro prezioso tesoro». «Il... t-t-tesoro?».

«Proprio quello. E pensare che, se quel cavaliere avesse tardato solo dieci minuti, a quest'ora potevo essere alla locanda del Guercio a godermi i miei scudi d'oro con una puttana tra le braccia e cibi degni dei sacerdoti di Nergal sul tavolo. Se non è sfortuna questa...».

«Torniamo a Valissa, allora?».

«Che?! Ma allora Leif aveva ragione quando diceva che sei ritardato! Ti ho appena detto che non ci possiamo tornare».

Gleb chinò la testa contrito.

«Esiste un solo posto dove possiamo vendere una cosa del genere, Palash. Non sono rimaste molte grandi città e direi che per una roba così la capitale è il posto più indicato».

«Palash...», Gleb ripeté quel nome che alle sue orecchie profumava di esotico e di terra promessa.

Assaporò ogni sensazione come se quella mitica città gli si potesse materializzare davanti agli occhi con la sola forza del pensiero. Nonostante la Morte nera e un mondo sempre più in rovina, la capitale rappresentava ancora un porto sicuro, un luogo dove dimenticare le difficoltà e cominciare una nuova vita.

«Già, Palash», Shree lo riportò coi piedi per terra. «Anche la capitale se la passa male. Ma se c'era qualcuno disposto ad acquistare questa roba a Valissa, a maggior ragione ci sarà qualcuno interessato a farlo a Palash».

«Quindi... quindi anche la capitale è in g-g-ginocchio?».

«La gente muore ovunque», tagliò corto la ladra. «Non hai visto che cosa è diventata Valissa? Questo mondo va in pezzi e io voglio sfruttare le ultime occasioni che ancora offre. Anche se questo significa rischiare la vita e portarsi dietro uno come... come te».

Gleb reagì d'istinto portandosi le dita alla fronte. I polpastrelli sfiorarono cicatrici irregolari. Aveva quelle ferite da quando era nato; non sarebbe riuscito, neppure volendo, a immaginarsi senza. Eppure aveva sentito di nascosto che esistevano alcuni come lui che non avevano quelle mutilazioni. Fu certo che, se gente di quel tipo esisteva, l'avrebbe trovata a Palash. E che lì avrebbero avuto un altro nome. Non eretici, ma gha'unt.

«E tu... conosci la strada?».

Shree sbuffò una mezza risata. «Basta andare a Nord. Ma voglio che sia chiara una cosa: ti porterò con me finché mi converrà, ma se diventerai un peso o un pericolo, ti abbandonerò. Mi hai capito?».

«A me... sta bene... cr... credo».

«Beh, cerca di esserne sicuro entro un'oretta. È tutto il tempo che ti do. Dopo ci rimettiamo in cammino e non accetterò altre scene come quella di poco fa. Non posso portarti di peso e non ho alcuna intenzione di aspettarti. Se cadi ancora, ti lascio morire nella neve. Quant'è vero che mi chiamo Shree Hildwike».

Gleb reagì come sempre faceva: chinò la testa e l'affondò fra le spalle. La voce di lei lo richiamò: «Prima di lasciare la bottega di Leif, ho preso questa», gli disse frugando nello zaino. «Non farmene pentire», concluse lanciandogli una tunica di lana.

Lui l'afferrò e sentì il tessuto grezzo fra le mani. Strinse l'indumento al petto come fosse il suo bene più prezioso, quindi lo indossò. La ladra mugugnò qualcosa e si alzò. Raggiunse l'ingresso della grotta e Gleb la vide guardare fuori, là dove la bruma si mescolava alla pioggia e alla neve. Non sembrò scorgere nulla di interessante, perché pochi istanti dopo tornò a sedersi davanti a lui.

Avessero atteso un'altra manciata di secondi, avrebbero visto un'ombra colorare un panorama altrimenti fin troppo monotono.

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