24 (Parte Prima)

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L'uomo di nome Joseph si voltò verso gli altri due. Poi tornò a guardarlo.

Gleb deglutì. Accanto a lui Shree era immobile, la faccia premuta sul tavolo, tracce di zuppa che le decoravano il naso, il mento e i capelli. Un secondo rivolo colava lungo una scanalatura, picchiettando sul pavimento.

«Perché tu non sei svenuto?».

Lui aprì la bocca, ma non riuscì a far altro che balbettare senza senso, in quell'imitazione di un pesce che gli riusciva tanto bene. Sentiva la testa scoppiare alla ricerca di una replica valida, ma la donna sembrò stufa di aspettare. Si alzò con tale malagrazia che la sedia cadde sbatacchiando e riempiendo per un attimo il silenzio della stanza. Nessuno vi prestò attenzione.

«Perché non è svenuto?», parlò ai due uomini come se Gleb non fosse presente. Aveva una voce stridula. E soprattutto una luce famelica negli occhi.

«Non ne ho idea. Ma è un problema di poco conto. Risolviamo subito».

Il tipo di nome Joseph mise su un'aria infastidita. Gleb lo vide muoversi con lentezza, scansando la donna con un gesto brusco della mano e cominciando ad avanzare verso di lui.

Reagì schizzando in piedi come se la sedia si fosse arroventata. Estrasse la spada e la puntò verso l'uomo. Con la coda dell'occhio scorse le fiamme del camino riflettersi sull'acciaio temprato.

Arretrò di un passo, ma risultò una pessima mossa. Le tre figure sorrisero e presero ad avanzare quasi all'unisono. Qualcosa da qualche parte nella testa continuava a urlargli di mostrarsi sicuro di sé. Ma le gambe non ne volevano sapere di smettere di tremare. Joseph allungò una mano. «Dammela... dammi la spada, ragazzo. Non vorrei ti facessi male».

Gleb non reagì.

L'uomo perse il suo sorriso. «Non te lo ripeterò più. Dammi quella spada!».

Lanciò un'occhiata a Shree, ma la ladra continuava a russare col viso immerso nella zuppa. Arretrò ancora di un passo, senza abbassare la spada. Quello che si faceva chiamare Joseph non sembrò contento. Annuì, ma il gesto risultò quasi intimidatorio.

«Bene, hai fatto la tua scelta, peggio per te. Voi due», disse senza voltarsi, «andate a prendere gli attrezzi. Adesso mi sono davvero stufato! Ho fame e voglio mangiare».

Gli altri due scomparvero in una stanza attigua, lasciando Gleb da solo con Joseph.

«Facciamo così», continuò l'uomo, «tu te ne vai e ci lasci la tua amica, che è tutt'ossa, ma andrà bene lo stesso. Se lo fai, non ti uccidiamo. Mi pare un buon accordo, non credi?».

Gleb non fu abbastanza rapido nell'afferrare i termini della proposta. Prima che potesse analizzarli, Mirra e Johann fecero ritorno. Ed erano entrambi armati. La donna aveva una falcetta per il grano; l'uomo teneva un coltellaccio in una mano e una vecchia lama ricurva che passò a Joseph.

«Ultima possibilità, o te ne vai o ammazziamo anche te. Che cosa scegli?».

Silenzio. Poi la voce nasale della donna. 

«Lasciarlo andare?! Che novità è questa?».

«Zitta tu! Io e il ragazzo stiamo concludendo un affare. Allora, te ne vai o no?».

Gleb lanciò una nuova occhiata a Shree. La ragazza era ancora immobile, le ultime gocce di zuppa ormai gelida che colavano a terra in uno splof disgustoso.

«Inutile che la guardi. Ne avrà per un bel po'. Non so per quale motivo la zuppa non ha avuto effetto su di te e non ho intenzione di scoprirlo. Ma dubito che tu sia immune anche all'acciaio».

Di tutte quelle parole, Gleb ne afferrò forse un terzo. Sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie e sulle tempie, pompato in getti sempre più massicci. Arretrò di un altro passo e rischiò un'occhiata alle spalle. Tutto ciò che riuscì a scorgere fu un triangolo di cielo nero e un lembo di strada fangoso. La via era libera. Sarebbe potuto fuggire e dubitava che lo avrebbero ripreso. Fu una tentazione così forte, che alla fine annuì senza nemmeno rendersene conto.

«Iiio... vvva bene...».

Il sorriso sul volto si Joseph si allargò. «Non avevo dubbi. Il coraggio è una dote che scarseggia parecchio di questi tempi. Adesso vattene e non mettere mai più piede in questo villaggio, chiaro?». Gleb annuì di nuovo, questa volta con la stessa frenesia che usava quando Leif minacciava di bastonarlo. Poi si voltò e mise un piede in strada. Si sentiva un verme, ma trovò che allontanarsi fosse molto più facile del previsto. E quando perse il conto dei passi, anche la paura era svanita.

Fin da piccolo aveva sempre dovuto pensare solo a sé. La sfida era sempre la stessa, vivere o morire. Se pensavi a te stesso, vivevi; se commettevi l'errore di pensare anche agli altri, facevi una brutta fine. E se Gleb era vissuto così a lungo nonostante la fame, la pestilenza e la schiavitù era proprio perché aveva saputo scegliere i momenti giusti in cui ritirarsi.

Tuttavia, a dispetto della logica di quel ragionamento, si sorprese quando cominciò a tornare indietro. I suoi piedi non lo stavano portando verso l'uscita del villaggio, ma verso quella stessa casa da cui era fuggito solo un minuto prima.

Sentì la stretta sulla spada farsi più decisa, mentre il cuore riprendeva ad accelerare i battiti. Ingollò aria e sentì in bocca il sapore della paura. L'olfatto gli rimandò indietro l'odore dei vestiti bagnati e del sudore. Più sotto, tuttavia, c'era anche dell'altro, il fetore della morte e quello del fango che sembrava ricoprire ogni cosa. Arrivò fin quasi all'ingresso. Era spostato di lato e non vedeva altro che un angolo di tavolo e mezza sedia; più avanti gli sembrò di scorgere una finestra con le imposte rese molli dalla pioggia.

Si acquattò, affondando la mano nel fango. 

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