9 (parte prima)

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L'ordine aleggiò nell'aria della bottega come un miasma mefitico. Seguì un istante di quiete.

Poi l'uomo che aveva tutto l'aspetto di un cavaliere estrasse la spada. «Il mio nome è Eckhard Uriel Vanemburg. E sono qui su ordine di padre Oberon. Dovete seguirmi, non ve lo ripeterò una terza volta». Leif trovò il suo tono quasi annoiato. Non sembrava sentirsi minacciato da un ricettatore orbo, una ladruncola e uno schiavo.

«E, di grazia, perché dovremmo?». Decise di optare per un tono disteso, fingendo noncuranza e puntando a prendere tempo. Teneva le mani poggiate sul bancone a voler mostrare che non aveva nulla da nascondere, sperando che tutto ciò bastasse.

«Lei», disse il cavaliere indicando Shree con la punta della spada, «ha commesso un furto blasfemo nel Palazzo della Fratellanza. Quanto a te, il fatto che stessi per ricomprare la mercanzia basta come capo d'accusa. Vi vedrò pendere entrambi da una corda con molto piacere».

«Ti sbagli, cavaliere. Io non ne so niente di furti e palazzi vari. Quest'amica era solo passata a salutarmi».

«Sei il ricettatore più noto di Valissa, Leif Blutstad. E anche se volessi essere così folle da credere alle tue parole, quello che c'è sul tuo bancone ti smentisce».

Leif gettò un'occhiata veloce alla refurtiva. La reliquia che Shree gli aveva portato giaceva a non più di un metro da lui. Si domandò che altra scusa inventarsi, quando fu la stessa ladra a intervenire. «Quella cosa non l'ho rubata io. Qui c'è un malinteso».

«Non mi interessano le tue spiegazioni. Voglio che mi seguiate, nient'altro. Sono certo che padre Oberon ascolterà la tua versione dei fatti. Dopo di che ti impiccherà. Vi impiccherà tutti e tre. Prendeteli!», concluse diretto a una delle guardie.

Il soldato trasalì, ma non reagì. Spostò invece l'attenzione sul compagno, quasi a cercare conferme.

Shree colse l'occasione. Si gettò di peso contro il cavaliere, ancora voltato verso il soldato, e lo scaraventò a terra con una spallata. L'impatto contro il pavimento fu violento, a giudicare dal rumore. Lo schiavo cacciò un grido e arretrò. Leif si piegò fino a uno dei cassetti e ne riemerse con una sciabola. Poi aggirò il bancone proprio mentre una delle guardie gli si faceva incontro. «Colpiscimi alla testa... con l'elsa!» gli sussurrò il soldato.

Il ricettatore intuì il suo intento e calò il pomello sul volto della guardia, senza usare troppa forza. L'uomo roteò su se stesso e in-fine crollò privo di conoscenza. L'altro ghignò soddisfatto e alzò la testa a studiare la situazione.

Shree era impegnata in un corpo a corpo col cavaliere. La differenza fisica tra i due era abissale: la ladra era magra, forse perfino denutrita, anche se sotto la pelle sudicia vibrava un fascio di nervi; l'altro possedeva una corporatura più massiccia e sembra-va non aver fatto altro, nella vita, che combattere. Era un duello impari. Ma per il momento quella puttanella sembrava ancora riuscire a tenergli testa.

Leif sfruttò i pochi secondi a sua disposizione per valutare ogni possibile via di fuga. Gli bastò un istante per rendersi conto che non ce n'erano. Il secondo soldato ancora occupava la porta e il cavaliere era tutt'altro che ricondotto alla ragione.

Decise quindi di agire. Si lanciò contro la guardia e sollevò la spada. Piuttosto che colpire, tuttavia, restò ad attendere la reazione. L'uomo sembrò intuire i suoi propositi, perché si voltò e corse in strada.

«Vado a chiedere aiuto!», furono le sue ultime parole. Poi svanì nel gelo della notte, lasciandosi dietro una scia di orme impresse nella neve.

Leif si concesse un nuovo ghigno, la sua fama era ancora quella di un tempo. Mosse un passo verso la porta. Poi però ci ripensò, tutte le sue cose erano in quella bottega. Se l'avesse abbandonata,sarebbe rimasto senza niente. E a quel punto morire sarebbe solo stata questione di giorni.

Si accorse che il cavaliere indossava una cotta di maglia e un mantello che valevano una fortuna. E la spada sembrava perfino più preziosa. Se fosse riuscito a toglierlo di mezzo, forse avrebbe potuto anche guadagnarci da quell'incresciosa situazione. Dopotutto, tre contro uno potevano farcela.

Tornò nella stanza nell'istante in cui il cavaliere afferrava Shree alla gola. Gli bastò una mano per alzare e lanciare la manciata di pelle e ossa che formavano la ladra. Poi fece per rialzarsi.

Leif agì in quel momento. Gli si lanciò contro e affondò la scia-bola. Il cavaliere doveva avere però gli occhi anche sulla nuca, perché evitò l'arma e con uno scatto si rialzò. Cercò la spada, ma il ricettatore tornò ad attaccarlo.

Una serie di affondi puntarono decisi al suo avversario, che però riuscì a evitarli. E quando infine Leif affondò di nuovo, l'uomo invece di schivare il colpo gli andò incontro. Si scansò solo all'ul-timo con una rotazione del busto. La lama colpì la cotta di maglia aprendo uno squarcio e facendo saltare una manciata di anelli. Una linea rossa indicò che l'acciaio aveva incontrato la carne, ma non così a fondo da ferirlo davvero.

Leif intuì di aver mancato l'obiettivo con un secondo di ritardo. Ormai a portata di braccio, poté solo assistere al pugno che lo raggiungeva al viso con una potenza devastante.

*

Nonostante la confusione dello scontro, Shree udì il rumore della mascella di Leif che andava in frantumi come fosse di cristallo. Fu uno schianto tremendo. Il ricettatore volò in aria e ricadde di schiena, restando immobile sul pavimento.

Il cavaliere tornò a guardarsi intorno, forse alla ricerca della spada. Lei gli fu di nuovo addosso prima che potesse recuperarla. Lo afferrò alle spalle e gli passò un braccio intorno alla gola, graffiando al viso e stringendo il collo con tutte le sue forze.

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