Gleb cacciò un grido e fu quello a raggiungerla. Shree fece appena in tempo a voltarsi e a vedere lo schiavo che le rotolava incontro; un istante ancora di ritardo e l'avrebbe coinvolta nella caduta.
Scartò di lato nell'istante in cui Gleb le sfrecciava accanto, il volto tumefatto, i vestiti intrisi di fango. Allungò una mano e l'afferrò per un braccio. Il rumore del polso dello schiavo che andava in frantumi le drizzò i capelli sulla nuca. Lasciò andare la capra e piantò i piedi nel terreno. Sentì che anche lei sarebbe rotolata lungo il fianco della montagna, andandosi a sfracellare chissà dove. La presa però resse e lei riuscì a rallentare e poi ad arrestare la caduta.
Allungando con lentezza l'altra mano, afferrò Gleb all'altezza del gomito.
«Stai... stai bene?».
Lui provò a rispondere, ma le labbra erano una poltiglia di sangue, terriccio e brandelli di carne. Shree notò che aveva perso anche uno dei guanti.
«Alzati, non puoi restare così».
Gleb sputò una macchia rossastra. Poi piantò la mano libera a terra e cercò di sollevarsi. Quando lei tentò di aiutarlo, cacciò un urlo liberando il polso rotto dalla stretta.
«Dove ti fa male?». «O... vun... que».
Lo schiavo restò sdraiato. Sembrava pronto a rimanere là fino alla fine dei suoi giorni.
«Non puoi fermarti, sta diluviando. Alzati, dobbiamo vedere che ti sei fatto».
Un tuono schioccò poco distante. Il frastuono parve scuotere Gleb dal suo torpore.
Shree lo aiutò a rimettersi in piedi. E si rese conto che lo spettacolo che offriva era dei più infelici. I vestiti erano strappati, mentre sulla schiena una grossa macchia gli incollava quel che restava degli abiti alla pelle ferita. Lo guardò e ne ebbe pena, per la prima volta da quando lo conosceva. Gli passò un braccio sulle spalle e lo aiutò a raggiungere un punto un po' più riparato.
Non fu né facile, né veloce, ma infine trovarono un luogo adatto. Lo lasciò là e andò a recuperare la capra. Bertha sembrava stordita, ma non aveva riportato danni. Shree le liberò le zampe e il muso e la legò poco distante. Poi tornò a occuparsi di Gleb. Lo costrinse a mettere il viso sotto la pioggia battente per lavarlo e valutare l'entità delle ferite. Ne risultò un grosso spacco al labbro inferiore e un paio di escoriazioni sulla fronte, proprio in mezzo alle cicatrici, e sulle guance. Anche il corpo era una costellazione di ferite, ma tutte superficiali. Quello che davvero la preoccupava era il polso. Si era già gonfiato e Gleb non riusciva neppure a muoverlo.
«Dannazione! Dovremo passare qui la notte. Non credo tu possa camminare. Complimenti...».
*
Gleb era mortificato. Avrebbe voluto chiedere scusa, ma non ne aveva il coraggio. E poi le labbra gli facevano troppo male. Seguì con lo sguardo la ladra, vedendo che si affaccendava a recuperare alcune bende da uno zaino sempre più vuoto. Poi si lasciò maneggiare, stringendo i denti in risposta alle fitte.
«Ma che cosa mi ha detto la testa?! Come mi è saltato in mente di portarti con me?».
«Mmmi... mi...».
«Lascia stare, non me ne faccio nulla dei tuoi balbettii. Pensa piuttosto a riposarti, me ne voglio andare da questa montagna. Ce la fai a masticare?».
Gleb ci pensò. Poi scosse la testa.
«Poco male, vorrà dire che stasera berrai solo un po' di latte. Anche perché di carne e pane ne rimangono davvero pochi». Annuì. Poi si voltò dall'altra parte e chiuse gli occhi. Aveva voglia di piangere, anche se non avrebbe saputo dire se per l'umiliazione o il dolore. Il rumore della pioggia, la stanchezza e la sofferenza lo gettarono quasi subito in un sonno privo di sogni.
Quando si svegliò, nel cuore della notte, Shree non c'era più.
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Pestilentia
FantasyUn ragazzo in fuga da qualcosa che non doveva essere liberato. È l'inizio della fine. Quattro secoli dopo, il mondo è un ammasso purulento. Una pestilenza ha spazzato via quasi ogni forma di vita, e il gelo ha stretto nella sua morsa gli ultimi supe...