11 (parte seconda)

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«Tu corri troppo, amico mio. Mentre tu stavi qui a farti rimettere in sesto il naso e a oziare su quel bel letto, io mi sono dato da fare e sono quasi certo che la donna che ti ha derubato abbia lasciato la città».

«Donna?», Vikas avvertì un fremito, qualcosa di simile all'umiliazione spandersi all'altezza del ventre. «Una donna... E dov'è andata quella lurida put...».

L'altro gli lanciò un'occhiata eloquente. «Lo sai che in queste sacre stanze non tolleriamo certi linguaggi», lo redarguì, ma con un tono quasi goliardico.

Abbassò la testa. «Chiedo scus...».

«Non ho idea di dove sia andata», riprese la voce ignorandolo. «Quello che so è che questa notte ha cercato di rivendere la refurtiva a un ricettatore, un certo Leif Blutstad. Prima che ci riuscisse, però, quel cavaliere l'ha raggiunta e ne è nato uno scontro. Leif ci ha rimesso la pelle e il guerriero si è salvato per miracolo. La donna invece è svanita... portandosi via la reliquia che vogliamo a tutti i costi. Quindi ora vestiti e mettiti sulle sue tracce. E quando avrai recuperato quello che mi interessa torna subito da me».

Vikas cominciò a fremere. Quell'uomo gli stava dando non solo la possibilità di purificare la sua anima, ma anche di vendicarsi della sgualdrina che l'aveva ridotto in quelle condizioni.

«Non ho armi...», parlò e si rese conto di averlo fatto solo quando la sua voce risuonò nella stanza.

«E allora? Abbiamo un'armeria ben fornita, no? Cerca di non farti vedere e prendi tutto quello di cui hai bisogno. Anche un cavallo, lascerò detto giù alle scuderie che puoi scegliere qualunque animale sia di tuo gradimento. Ma vedi di darti una mossa».

Vikas raggiunse la porta con poche falcate. L'aprì e la stanza fu inondata da una ventata gelida. Il corridoio era buio; una, forse due torce, ardevano molto più avanti.

La voce lo costrinse a voltarsi: «Un altro fallimento non è accettabile. Sai bene che non è mia abitudine minacciare. Ma la posta in gioco è troppo alta perché tutto possa fallire a causa di un tuo errore. Non mi deludere e per te ci potrebbe essere ancora un futuro radioso».

A dispetto della sua insofferenza ai rimproveri, non si prese stavolta nemmeno la briga di annuire. Abbandonò invece la stanza, richiudendosi la porta alle spalle. Poi si gettò nel freddo e nel buio del corridoio. 

Prima le armi, poi il cavallo, infine la caccia. Si sentiva rinato. Finalmente.

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