17(Parte prima)

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Nell'aria un odore acre e pungente, come di peli bagnati. Shree si svegliò di soprassalto. La prima reazione fu guardar si intorno. Non vide altro, però, che l'oscurità. Del loro fuoco da campo, ormai, restavano più braci che fiamme. Quanto al calore, era svanito da tempo senza lasciare di sé neppure il ricordo.

Restò distesa, gli occhi gonfi di sonno, i muscoli intirizziti dall'umidità, i crampi della fame che le attorcigliavano lo stomaco. La pioggia ticchettava con intensità regolare, animando un bosco più morto che morente. Imprecò fra i denti, la bocca impastata.

L'odore tornò ad aggredirla. Pervadeva l'aria con un'intensità tale da sembrare più concreto della nebbia. Sollevò la testa. Le braci emanavano sottili fili di fumo. Più oltre, un muro nero e compatto sembrava aver inghiottito ogni cosa.

Un rumore la mise in allarme.

Attese immobile, smettendo perfino di respirare. Indietro non le tornò che il silenzio. Ne fu tranquillizzata e tornò a distendersi. Accanto a lei, Gleb respirava in maniera quasi impercettibile. Se ne stava rannicchiato in posizione fetale, muovendo appena le palpebre. Shree lo guardò e si domandò che cosa mai potesse sognare uno schiavo. Poi notò la fronte segnata da quelle orribili cicatrici. Non dubitava che la sofferenza fisica del ragazzo fosse stata mille volte inferiore a quella morale. In un mondo in cui la vita era difficile per tutti, lei non riusciva a concepire che ci fosse chi si sforzasse di peggiorarla.

Afferrò un ramo per buttarlo nel fuoco; in quel momento che vide qualcosa brillare nel buio. Restò immobile, paralizzata dal terrore. Due bagliori erano puntati nella sua direzione. Avevano il colore dell'acciaio e risultavano altrettanto pericolosi. Batté le palpebre e non ci fu più nulla.

Cominciò ad allungare una mano. La mosse così lentamente che, per diversi istanti, pensò in realtà di essere ferma. Una ciocca di capelli le era ricaduta su un occhio, ma non si azzardava a spostarla. Nel momento in cui le dita si strinsero su un ramo, una nuova zaffata di quell'odore la raggiunse tanto chiara da scioccarla. Strinse la presa e percepì sotto i polpastrelli la corteccia spugnosa.

C'era qualcosa, lì fuori. E quel qualcosa si stava muovendo avanti e indietro, a ogni giro un po' più vicina. Shree infilò il legno fra le braci con una lentezza esasperante. L'idea di restare al buio la terrorizzava, come quando era bambina e dormiva da sola nella casa lasciata deserta dai suoi familiari morti. I tizzoni crepitarono e qualche scintilla vorticò nell'aria gelida. Il tronco scricchiolò e sbuffò, ma alla fine si accese.

Allungò le dita e afferrò un secondo ramo. Il panico le bruciò nello stomaco come bile nel rendersi conto che restavano pochi arbusti, così piccoli e malridotti da essere quasi insignificanti.

Riprese a muovere la mano. E, dopo un tempo interminabile, le dita si chiusero sull'impugnatura della spada. Il contatto col cuoio le strappò ogni strascico residuo di sonno.

Una nuova zaffata ferina la irrigidì. Nulla a che vedere, tuttavia, con ciò che provò quando vide di nuovo quegli occhi. Erano così vicini, ora, che se fosse stata poco più avanti avrebbe potuto dire a che cosa appartenevano.

La spada stretta in pugno e il corpo rannicchiato, Shree fu infine raggiunta da un ringhio. Risultò un suono basso, gutturale, ma abbastanza reale da strizzarle il petto per l'angoscia.

Cominciò ad allungare una mano verso Gleb. In risposta ne ricevette un nuovo latrato più forte, più vicino.

Si fermò, il respiro accelerato, il freddo che sembrava cristallizzarle la pelle. Poi ricominciò a muovere la mano in direzione dello schiavo.

Puntò alla spalla. Poi ci ripensò e le dita si spostarono verso il viso. Sentì il respiro caldo del ragazzo sulle unghie lerce e poi le labbra umide sul suo palmo, mentre gli tappava la bocca. 

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