Capitolo 6 (Parte prima)

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Aprì gli occhi e il primo pensiero fu che era morto. Doveva essere morto, perché non aveva mai sentito tanto dolore in vita sua.

Provò a sollevare la testa e ne ricevette in cambio una fitta che gli trapassò il collo e gli mozzò il respiro. Una porta o forse una fine-stra sbatté in lontananza, ma nessuno si avvicinò. La pietà era un sentimento sconosciuto a Valissa, così come nel resto del mondo. Il viso gli andava in fiamme. Nonostante il gelo l'avesse reso in-sensibile, avvertiva un bruciore che sembrava quasi scarnificargli la pelle. Aveva il naso tappato e un ronzio costante nelle orecchie. Provò a sollevare un braccio, ma non accadde nulla. L'arto rimase immobile e lui restò a guardarlo come se non facesse più parte di sé. Immerso nel fango, la pioggia che continuava a battere e il tanfo degli escrementi che gli inondava la bocca, cacciò un urlo di rabbia e frustrazione. Dopo si sentì meglio. Si sentì abbastanza bene da urlare di nuovo. Un terzo grido, infine, accompagnò i primi veri movimenti. Il braccio si sollevò e la mano si poggiò a terra. La sentì affondare in quella mota purulenta che infestava ogni strada di Va-lissa, ma ignorò il disgusto e fece leva per sollevarsi. La mano slittò e fece fatica a trovare la presa, ma infine riuscì a tirarsi su.

Si ritrovò a fissare un buio impenetrabile, nel quale un'ombra si mosse diversa dalle altre. Qualcosa si stava avvicinando. Ebbe paura e fu una sensazione non nuova, ma che non provava più da tanto tempo.

Il freddo, la pioggia e il dolore non c'erano più; e non c'era più il ronzio nella testa o il pulsare all'altezza del naso. D'improvviso ci fu solo la sensazione che qualcosa di viscido gli stava strisciando dentro, qualcosa che fece appena in tempo a riconoscere come panico, prima che si trasformasse in un concreto terrore.

Un ratto lo fissava a non più di un metro di distanza. Se ne stava ritto sulle zampe posteriori, la testa inclinata di lato, la coda che ondeggiava come il serpente esotico che aveva visto da bambino a una fiera. Pochi secondi e cominciò ad avanzare verso di lui.

Vikas vide il suo volto tumefatto riflettersi negli occhi privi di pu-pilla del topo. Un passetto, poi un altro. L'animale gli arrivò vicino. E fu a quel punto che attaccò.

Spiccò un balzo e puntò il petto. L'istinto di Vikas fu però più veloce e reagì prima ancora che la ragione potesse intervenire. Intercettò il ratto a mezz'aria e lo afferrò affondando le dita in un corpo molle, rivestito di una sudicia pelliccia. Urlò quando l'animale conficcò i denti nella carne tenera tra pollice e indice. Sangue fresco sgorgò dalla ferita, mentre una goccia rotolava ver-so la punta di un baffo. Vikas serrò la mascella e sbatté il roditore con tutte le sue forze sul terreno.

La testa del ratto esplose in uno spruzzo di sangue e minuscola materia cerebrale. La coda gli si afflosciò sull'avambraccio e lui restò a guardarla senza riuscire a reprimere una sensazione di di-sgusto. Poi cominciò a singhiozzare di dolore, sputando saliva, fango e lacrime, mentre un violento pulsare gli si irradiava dalla mano e risaliva lungo il braccio.

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