Eckhard seguiva padre Jari, standogli dietro di un buon me-tro. Avrebbe potuto superarlo senza alcuna fatica, nonostan-te fosse più vecchio di una decina d'anni. E tuttavia gli sarebbe
sembrata una mancanza di rispetto. Così si limitava a camminare sulla sua scia, gettando occhiate distratte a muri e stanze che gli parlavano di un passato ormai perduto.
Il Palazzo della Fratellanza era tutto quel che restava di un mondo scomparso. L'edificio, un imponente blocco di pietra fatto costrui-re dagli antichi re di Valissa, sorgeva sulla sommità di una collina artificiale dalla quale dominava un territorio infetto e moribondo che, si raccontava, in un tempo perduto era stato immenso e ric-chissimo. A testimonianza di quel glorioso passato, tuttavia, non restava che quel rudere abitato da più spiriti che esseri viventi.
Le guardie sembravano reggersi in piedi a stento, aggrappate alle loro lance come al loro unico sostegno. Chi metteva la sua vita al servizio della Chiesa di Nergal e abbracciava l'unica vera reli-gione diventava immune alla Morte nera. Ma la fede, per quanto grande, non riempiva anche lo stomaco.
«Ci siamo quasi». La voce di padre Jari riecheggiò nel vuoto del corridoio.
Eckhard si limitò a un cenno d'assenso. Aveva i piedi gelati e tutto ciò che desiderava era un po' di calore.
Tempo prima, qualcuno gli aveva detto che l'uomo è capace di adattarsi a tutto, anche alle condizioni più estreme. Non era vero. Lui non si era ancora abituato al freddo. C'erano notti in cui tre-mava tanto da non riuscire a chiudere occhio e in cui le dita gli si congelavano fino a perdere ogni sensibilità. Tra la Morte nera e quell'inverno perenne, il mondo sembrava aver imboccato una via senza uscita.
«Eccoci arrivati». Padre Jari gli indicò una porta.
Fece per aprire, ma la mano di Eckhard lo bloccò. «C'è qualcosa che dovrei sapere prima di incontrare padre Oberon?».
«Niente che non ti abbia già detto. È il padre spirituale della no-stra comunità ed è stato lui a pensare a te, quando ha saputo che eri in città».
«Sarei curioso di sapere chi gliel'ha detto...».
Il religioso alzò le spalle. «La città di Valissa non ha segreti per i membri della Fratellanza. E tu sei uno che non passa inosserva-to», il giovane monaco si concesse perfino il lusso di un sorriso.
Sollevò infine il pugno e bussò. L'eco dei colpi coprì per un attimo il rumore della pioggia.
Eckhard trasalì. Era così abituato a quel concerto di gocce, da non farci più caso. Una volta aveva sentito dire che il silenzio è solo una musica senza interruzioni; col tempo era giunto alla conclu-sione che anche la pioggia potesse ormai essere considerata tale. «Avanti!».
Padre Jari aprì, rivelando un ambiente misero. Una sola torcia ri-schiarava a stento un terzo della stanza, mentre il resto dell'illumi-nazione era affidata a un camino e alle braci di un fuoco morente. Una figura li attendeva in piedi, le braccia incrociate dietro la schiena e lo sguardo fisso sullo scorcio di mondo che penetrava da una finestra. Si voltò verso di loro, rivelando un'espressione addolorata.
Jari si schiarì la voce: «Padre Oberon, ecco Eckhard Uriel Vanem-burg, cavaliere della Fratellanza e vostro devoto servitore». Eckhard fu attraversato da un moto di stizza. Odiava certe forma-lità, che gli sembravano solo vuote vestigia di un'epoca passata. In ossequio alla sua devozione, tuttavia, fece lo stesso un passo in avanti e si inginocchiò. Padre Oberon gli porse la mano; lui l'afferrò e ne baciò il palmo, com'era usanza in quelle circostanze. «E così tu saresti un cavaliere della Fratellanza...».
Lui si limitò ad annuire con un gesto marziale della testa. «Allora non c'è dubbio che sia stato Nergal a inviarti».
«Con tutto il rispetto, padre, ne dubito. Egli ha cose più impor-tanti da fare che occuparsi di un peccatore come me. Mi sono ritrovato a Valissa per caso, cercavo solo un posto dove riposare». «Il caso non esiste e tu, in quanto figlio prediletto di Nergal, dovre-sti saperlo meglio di tanti altri. Ti ho visto alla funzione, oggi. Eri in prima fila e la cosa mi ha colpito. Sei molto devoto, dico bene?». Eckhard guardò padre Jari, poi tornò sul sacerdote più anziano. «Come ogni uomo che si rispetti. Nergal è l'unico vero dio e tutti noi rinasceremo presto o tardi nella sua gloria».
Padre Oberon sospirò. Sembrava quasi infastidito dalla sua fede. «Sì, certo. Eppure questa città muore ogni giorno. Siamo rimasti una comunità scarna e macilenta, che non riesce più ad arginare l'epidemia. Se continua così, nel giro di pochi anni Valissa potreb-be non esistere più».
«Valissa è lo specchio del mondo, padre Oberon. Negli ultimi anni ho attraversato questo continente in lungo e in largo e non c'è città che non si trovi sull'orlo dell'abisso. La maggior parte, anzi, in quell'abisso c'è già sprofondata».
«Sei... sei stato anche a Palash?», il sacerdote sembrò tradire un moto d'angoscia.
Eckhard annuì. «L'ultima volta due anni fa... o forse erano tre. È difficile tenere il conto del tempo, ormai. Palash comunque regge, ma forse solo perché può contare su un numero maggiore di sa-cerdoti. Riescono ancora a far fronte all'epidemia, ma a volte ho la sensazione che stiano solo ritardando l'inevitabile».
L'espressione triste sul volto del sacerdote non mutò. Inspirò gon-fiando il petto e sembrò sul punto di dire qualcosa. Poi però si voltò con un gesto brusco e tornò a guardare fuori della finestra. Eckhard colse l'occasione per fare una rapida panoramica dell'ambiente. Tutto quello che vide, oltre al camino e a un tappeto segnato da una macchia del colore della ruggine, fu un piedistallo di pietra che sembrava essere stato posizionato là per sorreggere qualcosa.
«Ho bisogno del tuo aiuto». Il volto del religioso si era trasforma-to in una maschera impassibile e perfino le sue vesti sembravano contribuire ad aumentarne l'aura di santità.
STAI LEGGENDO
Pestilentia
FantasyUn ragazzo in fuga da qualcosa che non doveva essere liberato. È l'inizio della fine. Quattro secoli dopo, il mondo è un ammasso purulento. Una pestilenza ha spazzato via quasi ogni forma di vita, e il gelo ha stretto nella sua morsa gli ultimi supe...