12 (Parte prima)

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Gleb cadde e rimase immobile. Non provò nemmeno a rialzarsi e non fece alcun tentativo per cambiare posizione. Se ne restò disteso nella neve sporca a guardare la pioggia scendere dall'alto. Shree se ne accorse, perché non sentì più il suo ansimare. Non fu una consapevolezza immediata e nemmeno razionale. Ma quando si voltò, lo schiavo era sdraiato una ventina di metri più indietro. E non dava segno di vita.

Fu tentata di lasciarlo al suo destino. Il freddo era tanto intenso da gelargli perfino i pensieri. Neppure il mantello che aveva rubato al cavaliere sembrava in grado di proteggerla. Era meglio abbandonarlo. Del resto che male c'era? Si trattava di uno schiavo, un reietto della società, un individuo inviso perfino più di lei. E poi la stava rallentando. Pochi istanti dopo, però, tornò sui suoi passi. Quell'idiota in fin dei conti le aveva salvato la vita. E poteva tornarle ancora utile.

«Che intenzioni hai, ragazzo?!».

Gleb non rispose e non si mosse. Restò immobile nella neve putrida, la nuca affondata nel fango.

Shree pensò che fosse morto. Non era raro, il freddo e gli stenti potevano essere micidiali. Si piegò e lo scosse. Lui sollevò la testa quel tanto che bastava per guardarla. Aveva labbra blu e un volto esangue. Tremava ed era evidente che non sarebbe sopravvissuto molto a lungo in quelle condizioni.

«Ho... ho f-f-freddo».

L'ovvietà di quel commento fu tale che Shree ne fu stizzita. Si guardò intorno. Avevano lasciato Valissa che l'alba ancora non era sorta e adesso, a quasi cinque ore da quel momento, erano immersi in una bufera di pioggia e neve.

«Devi alzarti».

Tornò infine a chinarsi e lo afferrò per le ascelle. Gleb non oppose resistenza, ma nemmeno collaborò. In compenso aprì gli occhi e la guardò. Aveva lucide iridi azzurre e una cascata di capelli biondo-cenere che la pioggia e il fango avevano trasformato in un'unica massa aggrovigliata.

«Dammi una mano, da sola non ce la faccio».

Lui annuì e per un attimo a lei parve quasi di scorgere della gratitudine nella sua espressione vaga. Facendo leva con mani rese insensibili dal freddo, lo schiavo riuscì a sollevarsi in piedi. Shree gli era così vicina da sentirlo battere i denti.

«I-i-io... io non... n-n-non penso di p-p-poter andare avanti», concluse la frase con un evidente sforzo fisico e vacillò.

Shree lo afferrò per evitare che cadesse di nuovo costringendola a un ulteriore sforzo. «Posso lasciarti qui, ma moriresti comunque. Camminare ti aiuterà a scaldarti».

«N-n-non... non è solo... solo il freddo. Ho f-f-fame, sono... sono stanco».

«Sapevi a cosa andavi incontro, quando hai voluto seguirmi. Anch'io ho freddo, ma vado avanti. E ti avevo promesso che ti avrei lasciato indietro, se mi avessi rallentato. Non credere che non lo farò».

Gleb si limitò ad annuire come un bambino che fosse appena stato sgridato. Shree preferì ignorarlo e tornò a valutare la situazione. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva lasciato la città e il mondo non era migliorato neppure un po'. Anche le strade, di solito mantenute efficienti dalla Fratellanza, mostravano più di qualche cedimento.

"Questo complicherà la vita anche ai nostri eventuali inseguitori", si concesse quell'unico pensiero più per tirarsi su il morale, che non perché ci credesse davvero. Fuggendo da Valissa, non ave-va fatto alcun piano. Si era limitata ad abbandonare la città, portandosi dietro un po' di cose trovate alla bottega di Leif e quello schiavo già ridotto in fin di vita.

«Forse possiamo fare una sosta».

Gleb la guardò incerto. Annuì secondo un riflesso condizionato, come era stato abituato a fare fin da piccolo, ma non commentò. Lei grugnì un assenso e fece per rimettersi in cammino. Lo schiavo però rimase immobile e lei fu costretta ad afferrarlo per un braccio e aiutarlo, fino a quando raggiunsero una densa bo-scaglia. Lui continuava a tremare, ma la protezione del mantello di Shree e la vicinanza col suo corpo erano riusciti a ridargli un minimo di calore.

Pur nella foschia del bosco, dove il terreno esalava il suo respiro, Shree riuscì infine a scorgere l'imboccatura di una grotta. L'interno era buio, tanto che decise di fermarsi a non più di tre o quattro metri dall'ingresso; ma era asciutto e in qualche modo perfino pulito. Lasciò andare Gleb e cominciò a raccogliere tutti i rami e gli arbusti che trovava.

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