9 (Parte seconda)

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L'uomo provò a divincolarsi, ma la stretta non gli lasciava spazio di manovra. In pochi secondi finì carponi. Shree vide gli occhi gonfi di lacrime e assaporò la vittoria.

Poi però, con uno scatto di reni, il cavaliere le afferrò le braccia. Si piegò in avanti e, prima che lei potesse intuire le sue intenzioni, cercò di scaraventarla in avanti. Rotolarono entrambi di lato e il movimento costrinse lei a mollare la presa.

Sputando e tossendo, gli occhi annacquati, il cavaliere si trascinò carponi verso la spada. Shree lo vide e tentò un nuovo attacco, ma anche lei cominciava ad accusare la fatica. I suoi passi risultarono più lenti di quanto avrebbe voluto e il cavaliere fece in tempo a voltarsi e colpirla con un calcio.

Per la terza volta Shree si ritrovò a volare per la stanza, finendo contro il bancone. Cercò di attutire la caduta, ma il contraccolpo la stordì. La vista le si annebbiò e notò solo l'uomo che stava avanzando verso di lei, spada alla mano. Tossiva e aveva una guancia aperta da tre solchi irregolari dove le sue unghie erano affondate; ma gli occhi dardeggiavano un'ira fin troppo lucida.

Disarmata e con le spalle al muro, cercò un'arma con cui difendersi, incontrando solo l'aria. Si sollevò in piedi a fatica, consapevole di essere ormai perduta. Fu però un movimento alle spalle del cavaliere a ridarle un barlume di speranza. Leif si stava rialzando e il cavaliere non se n'era accorto.

Shree sorrise convinta. Poi sollevò una mano e fece cenno al guerriero di andargli incontro. L'altro non affrettò il passo, ma strinse invece la mano sull'impugnatura della spada e infine colpì. Il ricettatore fu passato da parte a parte.

«Dovresti stare più attenta a dove punti gli occhi, ragazza», le disse l'uomo senza mostrare alcuna emozione.

Lei sentì una morsa alla bocca dello stomaco e intuì che la prossima sarebbe stata lei; la sua scorta di fortuna si era appena esaurita. Serrò i denti, mentre il cavaliere estraeva la spada dal cadavere che crollò con un tonfo sordo.

Shree trasalì e arretrò di un passo. La schiena urtò qualcosa e lei riconobbe il bancone. Afferrò quindi il legno con entrambe le mani e facendo appello alla sua agilità innata si gettò oltre, nell'estremo tentativo di nascondersi. Anche dalla sua nuova posizione, tuttavia, udiva i passi avanzare verso di lei, simili ai rintocchi di una campana a morto.

Abbassò lo sguardo e vide un cassetto aperto per metà. Scorse un bagliore metallico e afferrò la prima arma che le capitò a tiro, una spada che doveva aver visto di sicuro tempi migliori. Si accontentò riemergendo nell'istante in cui l'altro compariva nel suo campo visivo.

Poi accadde qualcosa che nessuno poteva prevedere.

Il cavaliere roteò gli occhi, aprì la bocca per dire qualcosa, ma prima che potesse farlo crollò in ginocchio. Shree si sporse in avanti e lo vide portarsi la mano libera alla testa. Le dita sfiorarono il collo e riemersero macchiate di sangue. Un istante dopo la sua mole cadde faccia a terra e là rimase, immobile.

Lo schiavo di Leif reggeva fra le mani tremanti un randello. Il suo sguardo era un misto di paura e incredulità; fissava ora il bastone, ora il corpo immobile del cavaliere, terrorizzato dal suo stesso gesto. «I-i-io... io non so che...», poi lasciò cadere il randello e mosse un passo indietro.

«Bella mossa, ragazzo». «S-s-sì, m-m-ma...».

«Ne parliamo dopo, adesso dobbiamo andarcene. E di corsa». Scavalcò il bancone e si guardò intorno. A terra c'erano due cadaveri, uno dei quali apparteneva a un emissario della Chiesa di Nergal. Ce n'era abbastanza per vedersi tirare il collo. Shree aggirò il bancone e raggiunse l'ennesimo cassetto. Tirò, ma la serratura oppose resistenza.

«Come si apre?».

Lo schiavo aprì e chiuse la bocca senza far uscire una sola parola. «Avanti, come si apre questo cassetto? È qui che Leif teneva il suo denaro, vero?».

«S-s-sì... cioè n-n-no... lui... lui teneva i soldi a casa. L-l-ì... lì c'era-no solo pochi spiccioli».

«Vecchio bastardo! Va bene, ma ci sarà una dannata chiave anche per questo cassetto, no?».

Lo schiavo si voltò e indicò il cadavere dell'uomo. Shree im-
precò di nuovo, poi gettò un'occhiata all'esterno della bottega. L'alba non era lontana quanto avrebbe voluto e neppure i soldati della chiesa. Perdere tempo prezioso solo per pochi scudi di rame non valeva la pena. Rinfoderò la spada e puntò dritta la porta.

«D-d-dove... dove vai?».

Si fermò sulla soglia. «Me ne vado. E se sei furbo te ne vai anche tu». «M-m-ma... ma Leif...».

«Leif è morto, pace all'anima sua. Vorrei dirti che Nergal lo ha già accolto con sé, ma non credo che un bastardo come quello sia mai stato nelle sue grazie. Sei libero, non sei contento?».

«Sì, no, cioè... non lo so. Con... con lui almeno avevo un lavoro, o-o-ora...».

«Fatti tuoi, io me ne vado».

Shree inforcò la porta e si ritrovò nell'aria gelida della notte. Il freddo la schiaffeggiò sulla faccia accaldata. Non vide nessuno, ma in lontananza scorse un lievissimo chiarore; stava albeggiando. Tornò a voltarsi in direzione della bottega finendo addosso allo schiavo che le era scivolato alle spalle.

«Che diavolo fai?!».

«N-n-non... non p-p-posso restare qua. Mi p-p-porti con te?». «Con me?».

«Pe-pe-per favore...».

«La strada è libera e se vuoi venirmi dietro fa' pure. Dopotutto mi hai salvato la vita. O quasi. Ma io non aspetto nessuno. Siamo intesi? E smettila di tremare, mi dai ai nervi!».

«Va bene... grazie».

Shree roteò gli occhi. Quel tipo la infastidiva, ma pensò che poteva servirle come carne da macello, se qualcuno si fosse messo sulle sue tracce. Lasciarlo indietro poteva essere un'ottima idea per depistare eventuali inseguitori.

«Andiamocene da qui. Hai un'arma?». «U-u-un'arma?».

«Sì, una di quelle cose appuntite che vanno dentro la pancia dei cattivi. Svegliati ragazzo, altrimenti ti mollo qui seduta stante! Corri dentro e prenditi qualcosa. Un pugnale, una spada o anche il bastone con cui hai steso il cavaliere».

Lo schiavo annuì e lo stava ancora facendo quando rientrò. Riemerse con una spada corta tra le mani.

«Andiamocene... A proposito: come ti chiami?». «G-g-g... Gleb, signora...».

«Se non altro hai un nome corto. Sei pronto a correre?». Non attese la risposta.

Affondò il primo piede nella neve, ma ci ripensò subito. «Meglio prendersi tutti i vantaggi possibili finché possiamo. Aspettami qui, faccio subito».

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