28 (Parte prima)

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Un uomo stava in ginocchio. E con la mano accarezzava il vello arruffato della capra. L'improvvisa comparsa di Gleb lo fece sussultare. Si alzò e coprì col proprio corpo l'animale, in un istintivo gesto di protezione.

Gleb restò interdetto e rimase immobile. Guardò l'uomo e in cambio ricevette sorpresa e diffidenza. I due si fissavano nel caos della pioggia e nel rumoreggiare dei tuoni.

«Gleeeb!», la voce di Shree ruppe la staticità del momento.

Lui arretrò verso il ciglio della sporgenza e, tenendo sempre un occhio fisso sull'uomo e la capra, si affacciò.

«Ccc... c'è una cccosa qui». «Non mi importa, aiutami a salire!».

Quando la ragazza sentì la presa di Gleb saldarsi sulle sue dita, si diede lo slancio e si arrampicò con agilità. Nell'istante in cui mise piede sullo spuntone roccioso, anche lei lo vide.

«E questo chi è?».

Il ragazzo si strinse nelle spalle. Poi, rivolto al vecchio: «Ccchi...

chi sei?».

L'altro accarezzò la capra e sorrise. Non era un sorriso gioioso, ma nemmeno minaccioso. Non avendo nulla da perdere, non aveva nulla da temere.

«Io non sono nessuno».

«Che ci fai quassù? Non mi pare un posto per vecchi», lo fustigò Shree. Non aveva alcuna intenzione di abbassare la guardia.

«E qual è al giorno d'oggi il posto dei vecchi?». «Per quanto mi riguarda, sotto terra».

Gleb boccheggiò di fronte a tanta sfacciataggine. Trovava la mancanza di tatto della ladra un'inutile prepotenza, ma al tempo stesso sentiva che era giustificata. Restare vivi era divenuta una faccenda maledettamente complicata, nel loro mondo. L'uomo reagì cogliendoli entrambi di sorpresa. Dapprima il suo sorriso si fece più convinto, poi si tramutò in una vera e propria risata. «So quello che state pensando, che sono un vecchio pazzo. E magari avete anche ragione. Ma io e Bertha abbiamo acciacchi che questo tempo non favorisce. Perciò, se non avete intenzione di cacciarmi ora sotto terra, venite nella mia grotta. Se proprio dobbiamo conoscerci, tanto vale farlo davanti a un fuoco, no?». Gleb mosse un passo in avanti. Shree alzò un braccio e lo costrinse a fermarsi.

«Ricordi l'ultimo invito che abbiamo ricevuto com'è andato a finire?».

«Sss... sì, ma... ma non mi sembra pppericoloso... gua... guardalo».

«Non mi fido. E non dovresti fidarti nemm...». «Allora, che intenzioni avete?».

«Po... potremmo non mangiare le... le sue scorte, se ce le offre». «Certo. E poi potremmo passare la notte nella sua grotta, a farci fracassare la testa nel sonno. Svegliati! Nessuno regala niente, credevo che in quel villaggio l'avessi imparato».

«Mmma... ma io ho... ho freddo... e lui ha il... il fuoco».

«Fate come volete. La mia grotta è spaziosa e asciutta, ma se preferit...» il resto delle parole del vecchio si perse nel rumore di un tuono più forte degli altri e nell'eco della cavità dentro la quale svanì.

Gleb inspirò per dire qualcosa, ma rinunciò, preferendo chinare lo sguardo a fissarsi i piedi. Aveva le dita congelate e i muscoli indolenziti. Aveva smesso perfino di sognare il fuoco. Tutto quello che desiderava era un posto asciutto. Nient'altro.

«E va bene! Ma non toccheremo nulla di quello che ci offrirà e dormiremo a turno. Non mi fido e non devi fidarti nemmeno tu, chiaro?».

Lui annuì e lasciò spuntare un sorriso timido sulle labbra.

*

La caverna era molto più grande di quanto avessero immaginato. E un leggero chiarore disegnava giochi di luci e ombre sulle pareti. La capra era accovacciata accanto all'uomo, seduto con le mani tese verso il fuoco. Aveva occhi celesti, quasi del tutto chiusi da strati di pelle rugosa, e una corporatura esile che parlava di stenti e di pasti saltati. Il suo sorriso era però la cosa più genuina che ricordassero d'aver visto, da un tempo incalcolabile.

«Quindi avete deciso di farmi compagnia, sono contento. Siete i primi due visitatori che ricevo da... bah, non ricordo nemmeno più da quanto. Anni fa la gente si arrampicava fin quassù solo per venirmi a trovare. Ma quei giorni sono passati. Adesso l'unica compagnia che ho è quella di questa capretta, la mia Bertha».

Shree lanciò un'occhiata fugace a Gleb, poi avanzò. I suoi passi rimbombarono nella grotta, vuota a eccezione di un pagliericcio, di una catasta di legna e di qualche utensile da cucina annerito da decenni di fuochi.

«Siediti, amica mia», le disse il vecchio. «E siediti anche tu», aggiunse voltandosi verso lo schiavo.

Lui non se lo fece ripetere. Allungò le mani così vicine alle fiamme che avrebbe potuto arrostirle. Non riusciva a smettere di tremare, gli indumenti fradici e incollati al corpo a delinearne la corporatura diafana.

«Una volta era usanza presentarsi, soprattutto quando si entrava in casa di sconosciuti», non c'era traccia di rimprovero nella voce del vecchio, magari solo un lieve rammarico.

«Io mi chiamo Shree e quello che vedi accanto a me è Gleb. E tu chi sei?».

«Abad».

«E che ci fai quassù?».

Il vecchio allargò le labbra in un mezzo sorriso. Invece di rispondere, cercò di alzarsi. Le giunture scricchiolarono e gli ci volle un po' per riuscire nell'intento. Infine, si avviò verso gli utensili. La sua voce rimbombò nella grotta: «Se sei curiosa, ti racconterò la mia storia. Ma non a stomaco vuoto. Ho un'età, e sento presto i morsi della fame. Non ho molto, ma lo condividerò volentieri con voi».

Shree scorse dietro i rami e le fascine un sacco e una cassa. «Abbiamo le nostre razioni e non vogliamo privarti del poco che hai. Parleremo, ma credo sia più giusto se ognuno mangi le sue cose». L'uomo annuì pensieroso, mentre tornava a sedersi. Quindi sistemò un pentolino sul fuoco.

«Come preferisci. Siete sicuri di non volere nemmeno un po' di latte?».

Lei si voltò a fissare le mammelle rosee della capra. L'invito era allettante e il vecchio parve intuire i suoi dubbi.

«Pensi che possa avvelenarti? E cosa ne ricaverei?». «Di sicuro le nostre armi e le nostre scorte».

«Sulle scorte posso anche darti ragione. Ma quanto alle armi, che cosa me ne farei? I miei unici nemici sono la fame e il freddo, che non si possono affrontare con l'acciaio. No, non ho alcuna intenzione di farvi del male».

«Grazie lo stesso, ma preferisco mangiare quel poco che ho di mio». «Come preferisci. E tu?».

Gli occhi celesti dell'uomo si spostarono su Gleb, ipnotizzato dal guizzare delle fiamme.

«Io... iiio credo... credo che accetterò il latte».

«Ottima scelta, amico mio. Vieni Bertha», disse l'uomo costringendo la capra a tirarsi su. Poi poggiò un secondo pentolino sotto di lei e cominciò a mungerla. Una volta finito, mise anche quello a bollire sul fuoco.

«Caldo è ancora più buono, non trovi?», fece seguire quella domanda da una strizzatina d'occhio.

Shree preferì ignorarlo, cacciando fuori un pezzo di carne secca che passò a Gleb. Poi ne prese uno per sé e cominciò a mangiare, fregandosene che la cena del vecchio non fosse ancora pronta.

«Insomma, che ci fai quassù, vecchio?». «Sicuri che non vi annoio coi miei racconti?». «No, abbiamo tempo e voglia di ascoltarli».

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