Capitolo Due (Parte seconda)

62 17 1
                                    

Vikas non fu rapido nel rispondere e fu una fortuna che indossasse una falsa divisa dei chierici della Fratellanza. «Io... io chiedo scusa. Mi hanno mandato a controllare che tutto fosse in ordine». L'espressione sul volto dell'ecclesiastico mutò, passando dall'interdetto al diffidente. «In questa stanza i chierici non hanno accesso. Che storia vai raccontando? Voglio una spiegazione, subito!». 

La sensazione di essere con le spalle al muro si fece soffocante. Vi-kas arretrò, deglutì e chinò la testa sentendosi un bambino indifeso. «Padre Abraham, io...».

«Io sono padre Cadwell e ti ho fatto una domanda. Voglio una risposta valida, altrimenti informerò il capitano della tua intrusione. Voi chierici state diventando troppo arroganti ed è tempo che qualc...».

L'uomo stramazzò a terra. Una spada gli aveva aperto un foro nel suo torace, da parte a parte. Vikas si rese conto di averlo ucciso, solo quando il tonfo del corpo lo riportò alla realtà. La sagoma giaceva in posizione scomposta, gli occhi sbarrati che sembravano accusarlo per il suo gesto blasfemo. Si chinò e guardò il cadavere. In vita sua aveva ucciso parecchia gente: mercanti, prostitute, accattoni, contadini, schiavi... quasi ogni genere di essere vivente. Ma mai un religioso. Non gli era per-messo. A nessuno era permesso alzare le armi contro un uomo di Nergal. Per un crimine del genere c'era la dannazione, dapprima quella terrena, inflitta dai chierici della Fratellanza per mezzo di un rogo; poi quella eterna, dispensata dal dio stesso.

Vikas si chinò e intinse l'indice nella pozza rossa. Pur nella luce smorta della stanza, il sangue brillava ancora dispensatore di vita; lo trovò perfino più caldo, come se nelle vene di quel sant'uomo scorresse una linfa più nobile di quella delle creature comuni. Restò in quella posizione per un tempo indefinibile, mentre centinaia, migliaia di pensieri gli si affastellavano nella testa. Infine, schizzò in piedi. Quel che era fatto era fatto. Ora doveva pensare a portare a termine la missione. Alle sue spalle il silenzio era ancora assoluto. Si guardò intorno. Una finestrella che non aveva notato era incastonata nella parete in fondo alla stanza. Il vetro era punteggiato da un indefinibile numero di gocce. Raggiunse la teca di vetro, l'afferrò con entrambe le mani e provò a sollevarla. Non si mosse.

Si lasciò scappare un'imprecazione volgare e fece per riprovare, prima di accorgersi che un lucchetto di metallo assicurava la teca al suo sostegno. Poteva essere forzato; qualcuno, anzi, sembrava averlo già fatto, almeno a giudicare dai segni sul metallo. Lui però non aveva abbastanza tempo per un lavoro di fino come quello. Senza scomporsi, estrasse la spada e calò il pomello nel punto centrale del cristallo, coprendosi il viso con il braccio libero. Il frastuono fu assordante e schegge volarono ovunque. Tra i rimasugli della teca, emerse un piccolo baule di legno e metal-lo, chiuso da un secondo lucchetto. Questa volta non ebbe dubbi, sollevò la spada e la calò con violenza sul metallo. Il lucchetto saltò. Vikas sollevò il coperchio e afferrò il contenuto. Lo nascose sotto la tunica, tra il tessuto e la giubba di cuoio e, scavalcando il cada-vere di padre Cadwell, corse via.

PestilentiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora