27 (Parte prima)

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La stanza era vuota, a parte il freddo e il rumore della pioggia. Si mosse e in risposta ricevette il rintocco dei calzari. Suonavano secchi, come ordini scanditi a invisibili soldati. Fu attratto dalla finestra perché era l'unico punto a essere davvero illuminato. Il cielo era una massa grigia che lasciava filtrare raggi di una luce traslucida. Poggiò le mani sul davanzale, quasi assaporando il freddo che gli mordeva le dita.

Non aveva conosciuto altro, in vita sua, che quel gelo. Non aveva mai neppure visto il sole, ma da quello che aveva letto i suoi raggi erano caldi e facevano germogliare la terra. Gli era sempre sembrata una buona cosa, il sole. Prima di morire, avrebbe voluto vederlo almeno una volta. Ma sospettava che quello sarebbe stato solo un altro dei suoi mille desideri a restare irrealizzato.

Si voltò e raggiunse il camino. Figure di cavalieri erano scolpite sulla pietra. Qualche servo l'aveva già riempito di legna e a lui non restò che armeggiare un po' con l'acciarino e la pietra focaia. Soddisfatto del risultato, restò chino a guardare il fuoco. I ramoscelli più piccoli si arricciavano cadendo in cenere; ma i tronchi più grandi opponevano una resistenza quasi stoica, come se non volessero cedere a quella corruzione.

"Perché la gente non ha lo stesso grado di resistenza alla corruzione della chiesa?", si disse.

Allungò le mani verso le fiamme. Sentì il calore pervadergli i palmi, ma lo trovò fittizio. Non era quello del sole; era invece un tepore falso che svaniva non appena ci si allontanava dal fuoco.

La porta si aprì in quel momento e una figura fece il suo ingresso. Gli fece cenno di entrare.

«Una volta tanto sei stato più puntuale di me», la voce del nuovo arrivato era controllata; parlava scandendo ogni sillaba, sebbene le labbra gli tremassero.

Lanciò un'occhiata grata al fuoco e si avvicinò. Il mantello grondava acqua e i passi lasciarono una serie di orme bagnate sul pavimento. Quasi con riluttanza, la stanza si stava scaldando.

«Ho dovuto sbrigarmi. Se avessi tardato ancora, sarei stato bloccato». Il nuovo arrivato annuì distratto. Al momento sembrava avere occhi solo per il fuoco. Scosse la testa a cacciar via un po' d'acqua e si inginocchiò per avvicinarsi quanto più possibile alle fiamme.

«Comincio a sentire di nuovo le dita», disse dopo un po'. Poi si tolse il mantello, mettendo in mostra una corporatura massiccia e una spada minacciosa.

«Vuoi che ti faccia portare qualcosa da mangiare?». «No, vado di fretta. Allora, che novità ci sono?». «Non buone».

«Cos'è successo? Tu sai che a Palash non gradiscono le cattive notizie».

«Certo che lo so», rispose l'altro stizzito. «Ma Vikas è stato derubato».

«Derubato?! Non vorrai dirmi che...». «Purtroppo sì».

«È una tragedia! Hai accettato di collaborare con noi e questo ti fa onore, considerando quanto rischi nella tua posizione. Ma un errore in un momento simile... no, non ci voglio neppure pensare». «Mi dispiace. So quanto alta sia la posta in gioco».

«L'errore di Vikas ci condannerà tutti! La reliquia ci serviva per annientare la Chiesa di Nergal e tutti i suoi fedeli. Ora... che cosa ne sarà di noi?».

«Nulla è perduto, credimi. Tu rassicura i tuoi compagni, al resto penserò io».

L'altro reagì con uno sbuffo derisorio. Se fino ad allora era stato impassibile, adesso sul suo volto era comparso un accenno di sorriso che, però, non annunciava nulla di buono.

«Tu?! E come?».

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