7 (Parte seconda)

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«Sarebbe a dire?», le domandò riannodando le fila del suo discorso. «Per cominciare, dai un'occhiata a questi», rispose Shree estraendo due pugnali e una spada che finirono a sbatacchiare sul bancone.

«E chi hai derubato stavolta, un chierico della Fratellanza? Sai bene che io non mi faccio scrupoli, ma questo non significa che non mi preoccupi per la salvezza della tua anima».

«Mi stai annoiando, Leif. Fa' il tuo lavoro e risparmiami le prediche». Il volto gli si imporporò. Non era abituato a essere trattato così e quella novità non gli piaceva affatto. Valutò per un attimo se fosse il caso di buttarla fuori, ma poi decise di darle un'altra possibilità. Tornò a guardare le armi fingendo noncuranza.

«Sono tutti ferri vecchi, non valgono niente».

«Stai giocando con la persona sbagliata, Marcio. Sono armi di ferro e di discreta qualità. Se non ti interessano, dimmelo che le porto a qualcun altro. Ma non provare a fregarmi».

Leif non gradiva essere chiamato in quel modo, più di quanto gradisse essere messo con le spalle al muro. Però sapeva quando abbozzare. E su una cosa Shree Hildwike aveva ragione, quelle armi erano di buona fattura. Le avrebbe rivendute a qualche chierico in odor di promozione, intascando un bel guadagno netto quasi senza fatica.

«Come siamo scontrosi questa sera, tesoro. D'accordo, ammetto che hanno un certo valore e che potrei sbilanciarmi un po'. Quattro scudi d'argento per le armi e l'anello».

La ragazza sembrò pensarci. Leif sapeva che era tutta una messinscena, ma la lasciò lo stesso fare, perché in quelle partite ognuno doveva giocarsi le sue carte.

«D'accordo».

*

Il Marcio le regalò un sorriso e aprì un cassetto. Shree lo vide contare e sentì il tintinnare delle monete. In quei casi le tornava sempre in mente quella vecchia idea di rapinarlo; del resto lui e il suo schiavo non davano l'impressione di sapersi difendere da un attacco ben organizzato. Ma poi finiva sempre per scartare quel pensiero. Uccidere uno come Leif significava vedersi sbarrate le porte di ogni ricettatore da lì a Palash e anche oltre.

Strappandola ai suoi pensieri, l'uomo poggiò quattro scudi d'argento sul bancone.

«È sempre un piacere fare affari con te. Torna pure quando vuoi, dolcezza».

«Hai così tanta fretta di mandarmi via? Ti avevo promesso grandi cose, no?».

Leif deglutì e si sporse in avanti, mettendo in mostra un sorriso lascivo. «Che altro posso fare per te?».

Shree provò l'istinto di arretrare, ma si trattenne. Non poteva mostrarsi debole. Era una vita che respingeva uomini come quello e ormai non gli facevano più effetto. Il disgusto quello no, quello doveva combatterlo ogni volta.

«Ho ancora una cosa da farti vedere», gli disse con fare malizioso, decidendo che forse stuzzicarlo poteva tornarle utile. Aveva imparato a usare la sua bellezza prima ancora che la spada. «Un altro articolo che penso sia molto interessante...».

«Ma allora è stata davvero una serata propizia, la tua. Quanti ne hai derubati?».

«Solo uno».

«Uno solo?! E aveva con sé tutta questa roba?».

Shree annuì. «Aveva anche una giubba di cuoio che, a giudicare dalla puzza, sarebbe stata perfetta per il tuo negozio. Ma non me la sono sentita di spogliarlo nel bel mezzo di un vicolo».

«Peggio per te. Se domani mattina hai voglia di andare a recuperarla dal cadavere, te la compro. Le poche armature che ancora si trovano in giro valgono parecchio. Tienilo a mente, la prossima volta».

«Non l'ho ucciso», sentì il bisogno di puntualizzare.

Leif lanciò un'occhiata veloce all'esterno della bottega e al nero di quella notte infinita. Poi tornò a guardarla. «Se non l'hai fatto tu, ci avrà pensato questo dannato freddo».

«Un bastardo in meno», tagliò corto. «E adesso vuoi vedere o no cos'altro ho trovato?».

«Certo».

Shree si infilò una mano nella tunica, all'altezza dei seni. All'improvviso però si ricordò di un dettaglio. Si voltò. Il garzone era ancora intento a pulire il pavimento.

«Mandalo via», disse indicandolo con un cenno del mento. L'altro annuì. «Tu!», gridò al servo, «c'è il retrobottega da mettere in ordine. Fa' un bel lavoro e magari stanotte potrei anche decide-re di farti dormire qui».

Lo schiavo annuì senza incrociare il loro sguardo. Un attimo dopo era scomparso.

«Adesso che siamo soli, ti decidi a mostrarmi quest'immenso te-soro?».

Leif sembrava impaziente. A Shree la cosa diede un'enorme soddisfazione. Si frugò quindi nella tunica, indugiando volutamente sulle sue forme, e infine poggiò qualcosa sul bancone.

Il ricettatore allungò la mano verso la refurtiva. «Attento a quello che fai. Ti tengo d'occhio, Marcio».

Lui fermò le dita a mezz'aria, stizzito. Poi la curiosità ebbe la meglio. Afferrò l'oggetto e cominciò a studiarlo, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto un mugugno.

«Allora?». Cominciava a spazientirsi. «Calma, bellezza, calma. A chi l'hai rubato?». «Te l'ho detto, non lo so. Quanto vale?». «Parecchio, questo è poco ma sicuro». «Almeno dimmi cos'è».

«Mi stai dicendo che l'hai rubato e non sai nemmeno cos'è?». «Esatto. Dovevo sbrigarmi e quindi mi perdonerai se non mi sono messa a studiarlo con attenzione!».

Leif tornò a sollevare gli occhi su di lei. «L'avessi saputo prima, non ti avrei detto che era di valore. Peccato, ho perso una buona occasione per fare un ottimo affare. Devo essere più stanco del solito». «Sei un verme. Adesso mi dirai cos'è e quanto vale».

«Ho bisogno di tempo. Per ora posso dirti che rivenderlo sarà molto difficile. E tu sai meglio di me che questo fa scendere il prezzo della merce».

«Se stai provando a fregarmi, Marcio, te ne farò pentire». «Dannazione non sto provando a fregarti! Ti ho detto che vale parecchio, forse più di quanto io e te potremo mai vedere in questo schifo di vita. Ma non sarà facile smerciarlo... sei sicura che non sai a chi l'hai preso?».

«Ecco...».

«Allora?! Ragazza, meglio che mi racconti tutta la storia». «Indossava una divisa dei chierici della Fratellanza...», gli rivelò. «Ce n'è di che rimetterci il collo, idiota! E io non mi sono fatto mangiare un occhio dalla Morte nera per poi farmi uccidere dalla stramaledettissima Chiesa! Questa è roba sacra, roba di quelle per le quali si brucia davvero nelle fiamme dell'Abisso!».

«Vuoi dirmi che uno come te crede in queste cose?».

«No, ma ci credono i chierici e quella è la fine che mi faranno fare, se vengono a sapere che il loro inestimabile tesoro si trova nella mia bottega».

«Inestimabile? Quindi ne conosci il valore!».

Il ricettatore si concesse una mezza risata nella quale però non c'era traccia né di gioia, né di allegria. I suoi occhi, simili a quelli di un furetto, cominciarono a guardarsi intorno nervosi; sembrava quasi che Leif il Marcio stesse fiutando l'avvicinarsi di un pericolo.

«Beh, amico mio. Sei appena entrato in possesso di...».

Shree non seppe mai che cosa Leif stesse per dire, perché uno schianto alle loro spalle tranciò il discorso. Si voltarono all'unisono. Una figura copriva con la sua stazza l'intera larghezza della porta, ora divelta e retta in piedi da un solo cardine cigolante. Alle sue spalle stavano due guardie. Non sembravano molto convinte di quell'irruzione e Leif non ebbe difficoltà a intuirne il motivo; comunque fosse finita quella nottata, lui avrebbe perso due clienti e i due soldati avrebbero perso il loro ricettatore di fiducia.

La testa del garzone fece capolino dal retrobottega. Sembrava es-sere stato a sonnecchiare fino ad allora, a giudicare dall'espressione spaesata e dagli occhi arrossati.

Per un attimo, lo sguardo di tutti i presenti si posò su di lui.

Poi l'uomo sulla porta allungò un dito in direzione di Shree e Leif. «Prendeteli! E prendete anche lo schiavo. Se fanno resistenza, uccideteli».

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