32 (Parte prima)

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Qualcosa gli sfiorò la spalla. Fu un tocco leggero, ma sufficiente a svegliarlo. Intorno a lui il buio era assoluto, eccezion fatta per quel che restava delle braci del fuoco.

Gleb sollevò le palpebre a fatica. Aveva sonno e freddo. Dall'apertura, penetrava un vento glaciale che gli risaliva lungo la schiena e da lì ai reni e al collo. Si girò dall'altra parte, avvolgendosi nella coperta, e richiuse gli occhi.

Qualcosa tornò a scuoterlo, questa volta in maniera più brusca. Aprì gli occhi e riconobbe Shree china su di lui. A quella distanza avvertiva l'odore della sua pelle e vedeva il contorno ben definito dei suoi seni. Gli zigomi erano accesi di rosso nei barbagli dei tizzoni. Deglutì nel rendersi conto che quelle labbra erano a poca distanza dal suo viso. Fece per dire qualcosa, ma la ladra lo anticipò facendogli segno di tacere. Poi la vide spostarsi con lentezza e con un tatto che quasi non sembrava appartenerle. Si allontanò da lui, lasciandolo a interrogarsi su che cosa fosse quella sensazione che aveva provato al risveglio.

Col cuore che tornava a battere regolare, Gleb decise infine di sollevarsi a sedere. Aveva gli occhi impastati e il corpo scosso dal freddo. Fuori era buio. Alle sue spalle, sdraiato nel suo misero pagliericcio, Abad dormiva riempiendo la caverna di un sonoro russare. Lo invidiò. Per quanti sforzi facesse, non riusciva a tenere gli occhi aperti. Capì che se voleva davvero svegliarsi, doveva alzarsi.

Fu una vera e propria violenza fisica. Ma alla fine fu in piedi. Si stava ancora stiracchiando i muscoli intirizziti, quando Shree lo richiamò. Nella semioscurità, gli stava facendo cenno di avvicinarsi. Lui sentì il cuore tornare ad accelerare. Si mosse intontito e per poco non mise un piede sulle braci morenti. Fu l'intervento della ladra a evitargli il peggio, gli afferrò un braccio e lo costrinse a deviare percorso.

«Hai preso tutto? Ce ne stiamo andando».

Shree parlò con voce così bassa che lui fece fatica ad afferrare ogni singola parola. Annuì e gli sembrò soddisfatta. La fermò prima che si avviasse verso l'uscita, poggiandole una mano sulla spalla. «Che c'è?», il tono di Shree, per quanto lieve, risultò duro. Sembrava avere una gran fretta.

Lui infossò la testa tra le spalle. «Nnnon... non salutiamo Abad?». «Meglio lasciarlo dormire».

Non gli diede nessun'altra spiegazione e raggiunse l'apertura della grotta.

Un chiarore velato annunciava un'alba simile a migliaia d'altre che l'avevano preceduta e a migliaia d'altre che l'avrebbero seguita. La foschia era così densa che sembrava quasi appiccicarsi ai vestiti. Non pioveva, ma il terreno era costellato da pozzanghere; scaglie di ghiaccio galleggiavano come tanti diamanti grezzi.

Shree si immerse nella bruma quasi all'improvviso. Svoltò a destra e si chinò sulle ginocchia, poco sotto uno sperone roccioso. Gleb si affrettò a raggiungerla. E vide che la capretta di Abad era sdraiata a terra, le zampe anteriori e posteriori immobilizzate da una corda, un tratto della quale gli girava intorno al muso impedendole di belare.

Shree afferrò l'animale e se lo caricò sulle spalle. Poi si incamminò per la sua strada, ignorandolo fino a quando lui stesso non le si parò davanti.

«Che diavolo fai? Spostati!», la ragazza parlò con un filo appena di voce.

Dalla grotta non giunsero né movimenti, né rumori. «Nnn... no... che fai tu?!».

«Non si vede? Mi rimetto in cammino».

 «E... e la capra?».

«La capra viene con noi».

 «Perché?».

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