20 (Parte prima)

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Ruvide corde di canapa gli avvolgevano polsi e caviglie. Tutt'intorno solo buio, a eccezione di una minuscola fenditura dalla quale penetrava una lamina di luce. Come un serpente, strisciò in quella direzione e allungò l'occhio sbirciando fuori. Ciò che vide non gli piacque affatto.

Oltre la sua cella si apriva una palude. E, nella luce opalescente, Eckhard scorse diversi individui. Si muovevano con lentezza, come se non sapessero dove andare o, peggio ancora, come se non avessero alcun posto dove andare. Ne vide più d'uno seduto su tronchi marci, intento a fissare il vuoto.

Contò quasi due dozzine di persone, tutte con i segni della Morte nera. Alcune avevano il volto talmente malridotto da renderne irriconoscibili le fattezze. Il morbo aveva mangiato orecchie, naso, bocca e guance; ogni escrescenza del viso era ritorta e purulenta. Fu colpito da come perfino tra di loro non si scambiassero né occhiate, né tantomeno commenti. Pareva che ognuno se ne stesse per conto proprio, lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi infelici. Erano poveri derelitti cacciati da qualche città, riuniti a formare una comunità dai giorni contati. Per quei poveretti non c'era futuro. La Morte nera li aveva colpiti in maniera troppo violenta per lasciare loro anche solo una speranza di sopravvivenza.

Si domandò perché non l'avessero ancora ucciso. Quel pensiero gli ricordò di Blake.

Lasciò cadere la testa sentendo il tonfo del cranio che colpiva il terreno. Il gesto sollevò una nuova zaffata di marciume. Il freddo gli si insinuò lungo la schiena, viscido come un rivolo d'acqua gelida. Al momento non vedeva alcuna via di fuga. Era legato, chiuso in un ambiente claustrofobico, e disarmato.

Fu naturale, oltre che doloroso, ripensare a lei. Se l'avesse visto in quel momento, chissà cosa avrebbe pensato. L'avrebbe biasimato? Forse. O forse no. In fondo, lo amava così tanto da perdonargli anche i suoi difetti, proprio come l'aveva perdonato quel giorno...

Alcuni passi lo richiamarono alla realtà.

Si sollevò e gettò di nuovo lo sguardo oltre la fessura, su quella minima porzione di mondo cui aveva ancora accesso. Un'ombra oscurò per un istante la vista, mentre i passi si facevano più vicini. Poi più nulla per alcuni secondi. Infine qualcosa armeggiò a non più di tre metri da lui.

Un istante dopo, una porta emerse dal nulla, aprendosi e riversando nella stanza un fascio di luce indolente, quasi dolorosa. Eckhard riconobbe i lineamenti di un uomo. Aveva una barba sudicia, incrostata di sangue e pus. Non sembrava esserne consapevole o, forse, non se ne curava.

L'uomo non era interessato a lui, si limitò invece a grugnire una frase senza senso e afferrò la corda che gli imprigionava i polsi. Cominciò a trascinarlo in quel modo, come un animale pronto per essere sacrificato.

Eckhard sbuffò più per le fitte che per il trattamento, mentre diverse figure si alzavano per andargli incontro. Cominciò ad avere davvero paura, però, solo nell'istante in cui si rese conto che i loro occhi avevano una luce ingorda.

L'uomo che lo trascinava fu costretto ad allontanare con una manata una figura che si era avvicinata troppo. Il gesto fu accompagnato da qualcosa che ricordò il verso di una fiera. Eckhard si rese conto che qualunque cosa su cui posasse gli occhi in quel luogo infernale gli ricordava più un assembramento di bestie, che non di essere umani. Il pensiero successivo fu perfino più terrificante. Lo avevano spogliato di ogni suo bene. Al momento indossava solo una camiciola e un paio di calzoni. Delle sue armi non c'era traccia. E lo stesso valeva per Blake.

Trascinato nel fango in decomposizione, sentiva i calzoni impregnarsi di quell'acqua putrida. La luce era scarsa e filtrava debole e frammentata fra i rami di alberi moribondi.

L'uomo lo abbandonò senza alcun preavviso, lasciandolo cadere ancor più nel fango. Chiuse gli occhi per un riflesso condizionato e, quando tornò ad aprirli, stava osservando un cielo malevolo, su cui si intrecciavano liane e rampicanti che sembravano fondersi con la bruma.

Il panorama mutò. Adesso più di una faccia faceva capolino nel suo campo visivo. A quella distanza, i segni della malattia erano ancora più evidenti. Una donna aveva un foro grosso come una mela su una guancia e oltre la ferita spuntavano i denti marci. Accanto a lei stava un uomo con piaghe e ulcere che gli percorrevano non solo il viso, ma anche il petto, che emergeva bianchiccio e malandato dallo squarcio sulla tunica.

Eckhard cercò di sollevarsi, ma gli fu impossibile. Con mani e piedi legati, i suoi sforzi erano solo uno spreco d'energie. Non si era mai sentito tanto vulnerabile come in quel momento. Voleva la sua spada, ma tutto ciò che afferrò fu invece un'aria infetta che sembrava addensarsi e mozzargli il respiro.

Una mano si chinò verso di lui. Eckhard reagì arretrando, senza particolare successo. Dita ceree trapassarono la nebbia come proiezioni infernali, per emergere a pochi centimetri dal suo viso.

Tutt'altro che vinto, decise che avrebbe lottato fino alla fine per il suo diritto alla vita.

«No! Non lo toccate, non è così che pagherà la sua punizione!». La voce era giunta da un punto indistinto. Ma fu sufficiente a far ritrarre le dita verso quella nebbia che le aveva generate. Una dopo l'altra, le figure si allontanarono con malcelato fastidio. A sostituirle arrivò lo stesso uomo che l'aveva condotto fin là. Lo afferrò di nuovo per le braccia e lo tirò su di peso. Eckhard sentì le articolazioni protestare. Ingoiò un'imprecazione e ricacciò in gola un gemito di dolore.

L'uomo lo ignorò. E, senza alcuna cortesia, lo voltò. Il viso di quell'individuo aveva un aspetto ascetico. Provò a indovinare quanti anni avesse, ma gli risultò impossibile; nonostante la barba, aveva occhi lucidi e una pelle compatta. 

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